100 anni di storia delle FS: un quadro di sintesi

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Parte 1. La rete, i treni, la tecnologia

L'eredità dell'Ottocento: una rete, tante amministrazioni

Le Ferrovie dello Stato nascono cento anni fa, il primo luglio del 1905. Sono un'Azienda Autonoma, vale a dire una struttura operativa dello Stato, che fa capo al Ministero dei Trasporti: rimarranno tali per ottant'anni esatti, fino al 1985, quando inizierà quella lunga serie di trasformazioni e ammodernamenti, che quasi ad ogni anno sembrano voler ridisegnare la struttura dell'azienda, con esiti a volte non lineari, e per i quali rimando all'articolo sulla riforma delle ferrovie.

Qual è dunque la ferrovia che si trovano davanti le FS in quel luglio 1905?

In Italia, i treni viaggiavano già da 66 anni: la prima linea ferroviaria italiana era stata la celebre Napoli-Portici, inaugurata nel Regno delle Due Sicilie il 3 ottobre 1839 e lunga meno di 8 km. Come era naturale, le primissime realizzazioni nascevano come brevi linee indipendenti, intorno ai capoluoghi del tempo: la seconda ferrovia italiana, l'anno seguente, copriva i 12 km tra Milano a Monza; due anni dopo, il treno appariva in Veneto (Padova-Mestre) e nel 1844 in Toscana (Pisa-Livorno). Tuttavia, già nel decennio che precedette l'unificazione italiana (1851-1861) si gettavano le basi per la creazione di una rete, con una prima valenza commerciale, orientata soprattutto al trasporto merci. E' così che, ad esempio, gli iniziali brevi tronchi Torino-Trofarello (1848) e Padova-Mestre (1842) diventano il primo passo per la realizzazione di due assi fondamentali: la Torino-Genova, conclusa nel 1853, primo tracciato italiano che affrontasse un difficile valico appenninico, e la Milano-Venezia, che, con i suoi 285 km del primitivo itinerario via Treviglio-Bergamo-Rovato, era diventata nel 1857 la linea più lunga della penisola.


Lo sviluppo della rete ferroviaria nell'Ottocento
Building of the Italian Railway Network in 19th Century

Estensione della rete nel 1848
Le ferrovie nascono come linee separate nei quattro principali stati preunitari.

Railway network in 1848 and former States before the creation of the kingdom of Italy

Da/from: Ingegneria ferroviaria n. 7-8/1961

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Estensione della rete fino alla proclamazione del Regno d'Italia
Le linee da Torino per Genova, Bologna e Milano-Trieste, completate tra il 1853 e il 1860 formano già una prima ossatura della rete della pianura padana. La Torino-Genova è la prima e per ora unica linea di valico italiana.
Alcune linee sono state corrette per essere coerenti con la cronologia di A. Tuzza.

Railway network up to the creation of the kingdom of Italy (1861). Lines from Turin to Genoa, Bologna and Milan-Trieste, built in 1853-60, represent a first backbone in the River Po plain. The Torino-Genova, with its Giovi Tunnel (1953, 3.2 km long) is the first and by 1860 only line running across a mountain chain.

Da/from: Ingegneria ferroviaria n. 7-8/1961

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Si può affermare che, per tutta la seconda metà dell'Ottocento, la ferrovia dilaghi per l'Italia, con un ritmo di costruzioni ben superiore a quello che, nell'ultimo dopoguerra, caratterizzerà la nuova rete autostradale. La media di 160 km all'anno di nuove linee per il decennio 1850-1859 si alza rapidamente, fino a toccare i 350 km all'anno, mantenuti per tutto l'arco 1860-1900, con una punta di quasi 470 km/anno come media del decennio 1880-1889. Per confronto, quasi un secolo dopo, il valore massimo per la rete autostradale sarà di 300 km/anno come media del decennio 1970-1979.

Estensione della rete ferroviaria nell'Ottocento
Growing up of Railway Network during 19th Century

Extention of Italian railway network (blue: FS lines, red other private railways)

Average km per year of new railway, for each decade. A very high value is reached for no less than 30 years, between 1860 and 1890.

Dati elaborati dalla cronologia di A. Tuzza.

Comparison between the average km per year of railways in 19th century (orange) and the same value for highways in 20th century (green).

Data from tables in The World's longest Tunnel Page

Tabelle sorgenti e grafici nel materiale di riferimento in fondo alla pagina.

Source tables and charts in the reference material at the end of this page

Inoltre, non può essere sottovalutato il grande significato delle infrastrutture realizzate: il traforo del Frejus, completato nel 1871 dopo quattordici difficilissimi anni di scavi, era stato intrapreso con grande lungimiranza dallo Stato Sabaudo, ancor prima dell'unificazione italiana, quando il tracciato ricadeva interamente all'interno dei suoi confini, e ancora non si disponeva delle perforatrici pneumatiche, che proprio intorno al 1870 avrebbero agevolato lo scavo delle gallerie. Nel 1864 si completava la prima dorsale appenninica tosco-emiliana, la Bologna-Pistoia-Firenze, meglio nota come Porrettana, che più di qualsiasi altra linea contribuì a unire la nuova nazione appena costituita: in questo caso, dovendo guadagnare rapidamente quota nella valle del Torrente Ombrone, per la prima volta si ricorse all'espediente di tracciare due ampi tornanti, in modo da allungare il percorso e ridurre di conseguenza la pendenza.


Rampe e gallerie per attraversare l'Italia

Una significativa chiave di lettura delle nuove ferrovie, che nascevano su un terreno multiforme e difficile come quello italiano, è proprio rappresentata dalla lunghezza delle gallerie e dalla pendenza delle rampe: due valori che ben caratterizzano da un lato la difficoltà di costruzione, dall'altro quella di esercizio. La Torino-Genova era emblematica da entrambi i punti di vista: una rampa di 10 km, da Pontedecimo a Busalla, portava ai 360 metri di quota del valico con una pendenza del 35‰, ancor oggi considerata un valore limite per le ferrovie ordinarie; durante la costruzione, si aveva persino il dubbio che mai una locomotiva sarebbe stata in grado di risalirla; la rampa stessa comprendeva la galleria dei Giovi: 3,2 km, scavati entro il 1853 con metodi ancora drammaticamente manuali.

Rampe e tunnel cominciarono a succedersi in rapido incalzare: 26‰ di pendenza della rampa e 2.7 km di lunghezza del tunnel di valico sulla Porrettana (1864); 29‰ e 12.2 km sul Frejus (1871), 24‰ e 4.4 km tra Bra e Savona (1874, galleria del Belbo), 28‰ e 3.5 km sulla Roma-Sulmona (1888, galleria del Carrito), 28‰ e 6.4 km con le rampe di Enna e la galleria di Marianopoli sulla Palermo-Catania (1881), 16‰ e 8,3 km sulla nuova linea "Succursale" dei Giovi (1889), che, per dimezzare la pendenza della rampa rispetto alla vecchia linea, richiedeva un tunnel più che doppio rispetto a quello di 35 anni prima. Addirittura, meno di vent'anni dopo la Torino-Genova, le gallerie erano diventate una caratteristica costante di intere linee: la ferrovia costiera ligure, completata tra il 1868 e il 1874, ne contava 160 per un'estesa complessiva di 74 km su 244 di percorso, pari al 31%, con punte del 70% tra Sestri Levante e La Spezia (vedi alcuni esempi del tracciato originale nelle pagine dell'archeologia ferroviaria).

Infine, negli ultimi anni del XIX secolo si completano ulteriori importanti valichi: nel 1893 la Faentina Firenze-Faenza (galleria degli Allocchi, di 4.9 km) e l'anno successivo la Pontremolese Parma-La Spezia (galleria del Borgallo, di 8 km) e la Genova-Acqui (galleria del Turchino, di 6.5 km), né va dimenticata la Battipaglia-Reggio Calabria (1883-1895), che per lunghi tratti comportava gallerie impegnative come quelle liguri.

Valichi e gallerie
Tunnels across Alpi

Tecnica di scavo della galleria del Frejus (1871)
Da una tavola dell'ing. Germano Sommelier, artefice dell'opera.

Drilling technique for the Frejus Tunnel (line Turin-Modane), 12.2 km long, built in 1857-71.

Da/From: Ingegneria ferroviaria n. 7-8/1961

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Naturalmente un tale sforzo costruttivo presentò anche i suoi limiti, la cui portata si sarebbe manifestata appieno solo nei decenni seguenti. Il maggiore, senza dubbio, fu l'elevata percentuale di linee a binario semplice. In realtà, ai primordi della tecnica ferroviaria si riteneva pericoloso che un treno percorresse in velocità degli scambi incontrati "di punta"; di conseguenza il binario semplice, in cui era giocoforza disporre di tali scambi per permettere l'incrocio dei treni, venne utilizzato in principio solo per le linee secondarie, mentre le principali nacquero già a doppio binario.

Stazioni su linee a semplice e doppio binario
Stations on 1- and 2-track lines

Linee a semplice binario
E' indispensabile utilizzare degli scambi incontrati di punta.

Linee a doppio binario, impostazione d'origine
Per evitare gli scambi di punta, eventuali manovre di precedenza si effettuavano mediante un regresso su due binari tronchi posti agli estremi della stazione, in modo tale che, nel normale senso di marcia, gli scambi venissero affrontati solo "di calcio". In seguito i binari tronchi estremi vennero collegati anche all'altro capo, creando dei binari di precedenza esterni alla stazione: se ne trovano ancor oggi molte tracce, soprattutto sulle linee piemontesi, che rispondevano pienamente a questa filosofia.

Linee a doppio binario, impostazione finale
Venuto meno il vincolo sugli scambi, si arriva alla normale configurazione con binari di precedenza laterali.

Da Ingegneria ferroviaria n. 7-8/1961

Con il venire meno di questa limitazione, le ragioni dell'economia spinsero presto a realizzare a binario semplice anche un gran numero di linee principali. Dalle primissime carte del Touring (1894-1901) risultano a doppio binario solo le linee di concezione "cavouriana" e preunitaria: Torino-Genova con diramazioni da Alessandria per Valenza e Piacenza, Milano-Monza, Milano-Genova, Torino-Milano-Venezia, Firenze-Pisa-Livorno/Sarzana, più la dorsale Milano-Bologna e pochi altri tratti (valico Pontremoli-Borgo Taro, Napoli-Caserta, la prima parte della Roma-Firenze). Tutte le altre linee, dal Brennero all'Adriatica, dalla Tirrenica a tutte le dorsali appenniniche, per non parlare della rete insulare, nacquero a binario semplice.

Mentre le linee di pianura potettero essere raddoppiate con relativa facilità nei decenni seguenti, per i più difficili tracciati di montagna, il raddoppio avrebbe comportato costi paragonabili a una costruzione ex-novo, tanto che molte di esse hanno ancor oggi un solo binario. Questo non condiziona la sicurezza, come a volte si è erroneamente portati a credere, ma penalizza fortemente la capacità (su una linea a doppio binario si possono far passare fino a 200-220 treni/giorno, mentre a binario semplice è assai arduo superare i 70-80).


Un altro limite fu quello imposto sul carico assiale, soprattutto a causa dei numerosissimi ponti metallici di portata limitata: il valore di 15 tonnellate per asse, che una locomotiva doveva rispettare, se si voleva garantire la sua circolabilità su tutta la rete, avrebbe condizionato la progettazione delle locomotive italiane per tutta la prima metà del XX secolo, fin addirittura alle macchine diesel degli anni Settanta (D.345). Per confronto, il valore oggi consueto per le linee principali è di 22.5 t/asse.

E' tuttavia quanto mai significativo osservare come, sulla larga maggioranza di quella rete ottocentesca si viaggi ancora oggi, a velocità quanto meno doppie, con treni cinque volte più pesanti e un'intensità di circolazione - cioè un numero di treni al giorno - anche dieci volte superiore.

E anche un altro aspetto non può essere trascurato: la ferrovia dell'Ottocento si è inserita sorprendentemente bene nella forma complessa e variegata del territorio italiano, così come nel suo antico tessuto urbano. Lo ha fatto forse inconsapevolmente, perché era così che permetteva la tecnica dell'epoca, ma con risultati che oggi possiamo senz'altro considerare di grande pregio, non solo tecnico, ma anche architettonico e stilistico: si può anzi affermare che il patrimonio storico delle ferrovie, prima ancora che dai treni e della stazioni, è costituito dagli stessi tracciati, molti dei quali si sono conservati sostanzialmente integri, e i loro imponenti viadotti in mattoni, le gallerie, le rampe rimangono eloquente testimonianza dei primordi della tecnica ferroviaria italiana. La conservazione di questo patrimonio - che è nel contempo documento storico e oggetto di uso quotidiano - si sta rivelando critica e sarà oggetto di uno dei prossimi articoli.

Linea Savona-Ventimiglia (1872)
L'inserimento armonioso della ferrovia nel paesaggio è una delle più preziose peculiarità della ferrovia ottecentesca, che pare sempre più difficile trovare nelle realizzazioni moderne.

The railway built in the 19th century was able to match the natural landscape in a surprisingly harmonious way, that can be hardly found in modern railways.


Imprese private, concessioni, nazionalizzazioni

Al nascere delle Ferrovie dello Stato, il Paese poteva dunque disporre di una rete "nazionale" di oltre 14.500 km (a cui si sommavano 4800 km di ferrovie secondarie, destinati a non confluire nelle nuove FS). Se si pensa che la lunghezza della rete FS si sarebbe poi stabilizzata intorno ai 16.000 km, si può ben capire come la gran parte dell'impresa fosse ormai compiuta.

Chi aveva compiuto quest'impresa? Ai primordi, ogni linea ferroviaria era stata costruita e gestita da un'apposita società, spesso di capitale straniero; del resto, al tempo, l'Italia era un paese ancora profondamente agricolo, e se l'apporto delle nazioni più evolute era indispensabile dal punto di vista finanziario, lo era forse ancor di più da quello tecnico: l'industria ferroviaria nazionale avrebbe raggiunto l'autosufficienza, con molta fatica, solo intorno al secondo decennio del XX secolo.

Lo Stato gestì dunque la nascita del sistema ferroviario con il regime della concessione; esso concedeva a un'impresa il diritto a costruire una ferrovia: gli caricava l'onere di realizzarne l'infrastruttura, lasciandogli il beneficio di godere dei proventi che avrebbe tratto dalla circolazione dei treni.

Le prime società hanno nomi di schietto sapore ottocentesco: Imperial Regia Strada Ferrata Ferdinandea, Strada Ferrata Pio Latina, Strada Ferrata Leopolda, Società Generale Strade Ferrate Romane, e così via. Ben presto, man mano che i vari rami si saldavano tra loro, le singole società vennero sostituite da aziende più grandi, in grado di far funzionare unitariamente la nuova rete che si andava formando. Nel 1865, anno della prima importante riorganizzazione operata dal nuovo Regno, nacquero infatti le società delle Strade Ferrate dell'Alta Italia (SFAI), che accorpava le linee del nord, e delle Strade Ferrate Romane (SFR), che accorpava quelle del centro. Ad esse si aggiungevano le preesistenti Strade Ferrate Meridionali (SFM), operanti soprattutto sul versante adriatico (erano state fondate nel 1862 proprio per la realizzazione della Ancona-Otranto), e le Strade Ferrate Vittorio Emanuele, operanti nel mezzogiorno.


Intorno al 1875 si fece un primo tentativo di risolvere quella questione ferroviaria, come venne chiamata allora, che già mostrava la difficoltà di conciliare sostenibilità finanziaria e trasporto pubblico. Del resto, la stessa suddivisione fra le reti era intrinsecamente inadatta a garantire un equo sostentamento delle varie imprese: ad esempio la società Vittorio Emanuele, nata nel 1855 per gestire le linee piemontesi, con il passaggio di queste alla nuova SFAI, si ritrovava a doversi occupare delle ferrovie calabre e siciliane, in territori quanto mai difficili, e che nel 1865 erano ancora tutte da costruire, se si eccettuano i primi 30 km da Palermo verso Termini Imerese.

In quegli anni lo Stato decise pertanto di "riscattare" molte società, in genere possedute da capitale straniero, rilevando la proprietà delle linee e assumendone gli oneri economici. Le SFR furono riscattate nel 1873, e la SFAI, già controllata dai banchieri Rothschild, nel 1876. Fecero invece eccezione le SFM, che fin dall'origine erano sempre state totalmente di capitale italiano e, a differenza della maggioranza delle altre imprese, erano economicamente solide.

Ma solo dieci anni più tardi il mutamento fu ancora più significativo, e di valenza duplice: da un lato si procedette a un ulteriore accorpamento delle reti, dall'altro si tornò alla concessione a società private, mediante «convenzioni». Nel 1885, dunque, la ferrovia italiana, ormai giunta a poco più di 10.000 km, venne ripartita in tre reti, due delle quali, le maggiori, si ottennero dividendo la penisola in senso longitudinale: in questo modo il differente livello di progresso - e dunque di attrattività economica - fra le regioni settentrionali e quelle meridionali pesava sulle due società in maniera ragionevolmente equa.

La nuova società delle Strade Ferrate del Mediterraneo, o brevemente Rete Mediterranea (RM), con sede a Torino, si occupava del lato tirrenico, mentre le preesistenti Strade Ferrate Meridionali, aggiungendo al proprio nome le parole "Esercizio rete adriatica", diventavano la Rete Adriatica (RA), con sede a Firenze, che copriva la parte orientale della penisola. Molte stazioni principali (Milano, Pisa, Firenze, Roma, Napoli, Taranto, ...) erano condivise fra le due reti, così come la tratta Parma-Piacenza e la linea Milano-Chiasso. Quest'ultima aveva da poco accresciuto la propria importanza, diventando parte del nuovo itinerario internazionale del Gottardo (la galleria di valico, in territorio svizzero, era stata inaugurata nel 1882). Inoltre, per garantire una migliore struttura della rete, si era accettata una situazione mista, in cui le SFM gestivano sia linee di loro proprietà, come la Ancona-Otranto, sia linee di proprietà statale, mentre altre linee di proprietà SFM erano gestite dalla RM, dietro pagamento di un canone. Infine, la terza società, le Strade Ferrate della Sicilia, o più brevemente Rete Sicula (RS) si occupava della corrispondente rete.

La creazione delle grandi reti
Creating Four Major Networks in 1885

Estensione della ferrovia nel 1885 e ripartizione nelle quattro grandi reti

In 1885, railway network was subdivided into two major networks, cutting Italy along a longitudinal axis. In this way the weight of less remunerative Southern lines was shared by both companies: Rete Mediterranea on the Western coast and Rete Adriatica on the Eastern coast. Two further companies managed the railways of Sicily and Sardinia. This situation lasted for 20 years, up to the creation of the Italian State Railways (FS) in 1905.

Da/from: Ingegneria ferroviaria n. 7-8/1961

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Tuttavia, anche in queste concessioni, il rapporto tra oneri e benefici, alla lunga, si rilevò sbilanciato: come è oggi ormai assodato, la ferrovia non è in grado di reggersi completamente sui soli proventi da traffico, a meno di non adottare un livello di tariffe assai più elevato, che non era proponibile allora, in mancanza di valide alternative di trasporto, e che probabilmente non lo è nemmeno oggi, quando l'utilizzo della ferrovia si misura in termini di competitività rispetto agli altri modi di trasporto, il cui sussidio è più latente (in primo luogo la costruzione e la manutenzione della rete stradale) ma non meno rilevante.

Una copertura dei costi da parte dello Stato appariva quindi coerente con quei meccanismi di distribuzione della ricchezza, che sono fra i compiti di governo, specie considerando l'enorme portata strategica che il sistema ferroviario rivestiva, assai più di oggi. Del resto, se la seconda guerra d'indipendenza (1859) aveva evidenziato per la prima volta i vantaggi dell'uso militare della ferrovia (linea Milano-Torino), proprio di lì a poco l'importanza delle strade ferrate si sarebbe manifestata con i soccorsi per il disastroso terremoto di Messina (1908) e subito dopo nella drammatica prova della Grande Guerra.


Allo scadere delle concessioni ventennali del 1885 - e quindi appunto nel 1905 - tutti gli impianti e i mezzi già appartenenti a RM e RS confluirono nelle nuove FS. L'anno seguente la riorganizzazione venne completata, con l'annessione delle ultime linee mancanti: quelle che fin dall'origine erano di proprietà delle Strade Ferrate Meridionali e che, come abbiamo accennato sopra, non erano mai state riscattate. Il definitivo passaggio di proprietà richiese pertanto una complessa negoziazione, che portò tutta la Rete Adriatica a confluire nelle FS nel 1906 (nel 1908 per alcune linee del Lazio): l'ammontare pagato dallo Stato verrà investito negli anni seguenti, soprattutto nell'industria meccanica ed elettrica, dando un significativo contributo all'industrializzazione del Paese.


Il disegno italiano della locomotiva: la scuole di Torino e di Firenze

Lo sviluppo iniziale della ferrovia vide il predominio delle costruzioni straniere, inglesi prima di tutto, ma anche belghe, francesi, austriache: è naturale che gli stati italiani preunitari, di economia ancora principalmente agricola, si rivolgessero alla patria della rivoluzione industriale per la progettazione e la costruzione di quel rivoluzionario oggetto tecnologico che era la locomotiva. La prima macchina italiana uscirà tuttavia dalle officine Gio. Ansaldo di Sampierdarena già nel 1854: basteranno pochi anni per creare due fiorenti centri di progettazione di locomotive, che seguiranno strade differenti, tanto che si è soliti riferirsi ad essi come a due "scuole": la scuola di Torino e quella di Firenze.

L'Ufficio d'Arte delle Strade Ferrate era nato a Torino nel 1872 sotto la gestione SFAI ed era diventato poi il centro di progettazione della Rete Mediterranea: le difficili linee appenniniche e alpine che facevano capo a questa amministrazione avevano portato a sviluppare macchine pesanti, capaci soprattutto di elevati sforzi di trazione. L'Ufficio Studi di Firenze (1880), che progettava le locomotive della Rete Adriatica, si era invece orientato maggiormente alle macchine veloci, a due assi motori e ruote grandi, in coerenza con le importanti linee di pianura su cui avrebbero prestato servizio.

Con la costituzione delle FS, il nuovo Servizio Materiale e Trazione fu posto a Firenze, ereditando di fatto progetti e impostazioni della Rete Adriatica. Proprio uno dei primi compiti delle nuove FS fu l'unificazione delle macchine a vapore di nuova costruzione in dodici Gruppi che avrebbero dovuto coprire tutte le esigenze di questo tipo di trazione: un numero che può sembrare elevato, ma che in realtà costituiva una significativa semplificazione rispetto alla miriade di modelli esistenti a quel tempo, molti ancora ereditati dalle varie società anteriori alla prima grande unificazione, quella del 1885. Nell'elaborazione dei nuovi gruppi unificati, la scuola di Firenze si impose come la scuola ufficiale della nuova amministrazione: l'unico gruppo unificato di progettazione torinese fu quello di una piccola locomotiva a tre assi - la 830 - da cui peraltro derivò la 835, la più celebre macchina da manovra italiana, destinata a una lunghissima e multiforme carriera.

In realtà l'ufficio studi di Torino vantava una progettazione per molti versi d'avanguardia, anche a causa dell'asperità delle proprie linee principali - i Giovi e il Frejus in primo luogo - e aveva riscosso svariati successi, anche internazionali: tra le macchine più significative vanno ricordate almeno le 420 e 750 per treni merci e la famiglia delle "Vittorio Emanuele II" per treni viaggiatori, così dette dal nome della prima unità e comprendenti i gruppi 650, 656 e 660 (per semplicità, i numeri qui citati sono quelli definitivi, attribuiti sotto la gestione FS).

L'Ufficio d'Arte delle Strade Ferrate di Torino (RM)
Technical School from Rete Mediterranea, Turin

Gruppo 6800 RM (poi 420 FS)
293 unità costruite tra il 1873 e il 1905 ne fanno una delle più diffuse e tipiche locomotive per treni merci. La Rete Mediterranea colorava le sue locomotive in un bel verde con filettature gialle.

293 units built from 1873 to 1905 make this group one of the most important for freight services. The RM livery was green with yellow details.

Disegno di Guglielmo Valetti

Gruppo 835 FS
Le 370 unità realizzate dalle FS tra il 1906 e il 1922 rappresentano l'unica "eredità" della Rete Mediterranea nel parco FS di nuova costruzione.

The 370 units built between 1906 and 1922 represent the only FS group derived from a project by Rete Mediterranea (RM 6800, later FS 830).

Disegno di Guglielmo Valetti

L'Ufficio Studi di Firenze (RA)
Technical School from Rete Adriatica, Florence

Gruppo 625 FS
Le 188 macchine del gruppo 625 (1910-1922) sono la diretta evoluzione delle 600 RA del 1904, uno degli ultimi progetti della Rete Adriatica, condotti sotto la guida di Giuseppe Zara.

The 188 units of Group 625, built in 1910-1922, are the superheated version of 600 RA, one of the last and more interesting groups developed by Rete Adriatica.

Disegno di Guglielmo Valetti

Sta di fatto che molte delle macchine a vapore che avrebbero scritto la storia delle FS - dalle 740 alle 640 e alle 685 - sono le dirette eredi di quei primi gruppi unificati progettati a Firenze. Dei modelli della Rete Mediterranea, se si escludono le 830/835, non è oggi sopravvissuto alcun esemplare: un curioso esempio di come sia delicata la strada della conservazione del patrimonio ferroviario, e di quanto possa essere influenzata da scelte lontane e, in una certa misura, indirette.


Il Novecento: sui binari arriva l'elettricità

I compiti delle FS, nel primo decennio della loro esistenza, riguardarono prioritariamente la riorganizzazione del materiale rotabile: l'unificazione dei tipi costruttivi di locomotive a vapore e la rivoluzionaria introduzione della trazione elettrica, prima in Lombardia e poi sull'Appennino ligure.

Se le strade ferrate sono nate e cresciute insieme alla macchina a vapore, quel che si sperimentò in Italia proprio nei primissimi anni del XX secolo aprì le porte a un modo completamente nuovo di essere ferrovia: la trazione elettrica. In ben pochi campi, e certo non nella trazione a vapore, la ferrovia italiana fu tanto all'avanguardia quanto lo fu nell'elettrificazione della propria rete, ed è pertanto doveroso soffermarci più in dettaglio.

Già nell'ultimo decennio dell'Ottocento avevano cominciato a correre sui binari i primi veicoli azionati da motore elettrico: non erano però treni, ma piccoli tram a due assi; a Firenze nel 1890, a Milano sul finire del 1893, avevano suscitato clamore queste carrozzette che correvano silenziose senza essere trainate da un cavallo. Le potenze in gioco su un tram erano però assai modeste, ben inferiori a quelle che, anche allora, erano richieste a una locomotiva a vapore. E' pertanto naturale che, quando si pensò di sperimentare l'elettricità anche in ferrovia, la Commissione nominata alla fine del 1897 dal Ministro dei Lavori pubblici ing. Prinetti finì per scegliere le relazioni in qualche modo più simili a un tram: linee secondarie, non particolarmente difficili, in cui il servizio potesse essere svolto in larga parte con quelle che si sarebbero poi chiamate elettromotrici, vale a dire semplici carrozze dotate di motore elettrico.


I primi tram elettrici erano già nati come li conosciamo oggi, cioè con un motore a corrente continua, alimentato tramite un singolo filo aereo (il secondo polo era naturalmente costituito dalle rotaie, allora come oggi). Per la ferrovia, non era però così scontato che questa fosse la soluzione migliore, e di sicuro non era l'unica; si decise dunque di provare almeno tre metodi diversi:


Il sistema ad accumulatori della Milano-Monza, attivato l'8 febbraio 1899, fu dunque il primo servizio a trazione elettrica italiano, ma mostrò presto i propri limiti; le batterie erano pesanti e l'autonomia era poca: a distanza di un secolo è sostanzialmente lo stesso problema che si ripropone oggi per l'auto elettrica; l'esperimento ad accumulatori fu pertanto abbandonato già nel 1903 e non ebbe più seguito in Italia, diversamente da alcuni casi esteri (ad esempio in Germania la trazione elettrica ad accumulatori conquistò una sua nicchia di sopravvivenza, addirittura fino agli anni '80, con le ultime BR 515).

Le elettromotrici a terza rotaia dettero buona prova di sé, tanto che sulla rete delle Varesine, cioè appunto tra Milano e Varese-Porto Ceresio, funzionarono per cinquant'anni esatti, fino al 1951, e vennero utilizzate a partire dagli anni Venti anche tra Napoli e Villa Literno, in un contesto suburbano assai simile a quello varesino. Tuttavia, la pericolosità della terza rotaia, che andava protetta da ogni contatto accidentale, e soprattutto la tensione relativamente bassa - 650 V, un valore appunto tranviario - rendevano applicabile il sistema solo in ambiti piuttosto circoscritti.

L'elettrificazione a terza rotaia: le Varesine
Third-rail railcars of the Milano-Varese line ("Varesine")

RM MACe 5131 + MCDUe 5301
Elettromotrici a terza rotaia (poi FS E.20 ed E.15) del 1903, nella originale colorazione avorio della Rete Mediterranea.

Third-rail railcars built for RM in 1903 (later FS E.20 and E.15) in the original ivory livery.

Disegno di Claudio Vianini

L'elettrificazione trifase: l'esperimento valtellinese
Threephase engines on the Colico-Sondrio (Valtellina line)

RA 361-363 (poi FS E.360)
Sono le tre unità costruite da Ganz nel 1904 per la Valtellina, con cui è stato inaugurato il servizio a trazione elettrica lungo la galleria del Sempione.

These 3 units (later FS E.360) were built by Ganz, Budapest for the Valtellina line and were seconded to the Swiss Railways for service along the Simplon Tunnel, opened in 1906 and electrified with the threephase system (3000 V, 15 Hz).

Disegno di Guglielmo Valetti

Benché le Varesine fossero impostate essenzialmente su un servizio di elettromotrici, nessuna elettromotrice della prima generazione è sopravvissuta fino a noi; un'unica locomotiva (E.321.012) è conservata al Museo della Scienza e Tecnologia di Milano, mentre sono ancora in servizio nel parco storico due E.623, elettromotrici a corrente continua ottenute proprio dalla conversione delle elettromotrici a terza rotaia di seconda generazione (1931): infatti dopo la conversione del 1951, gli stessi rotabili riadattati con normali pantografi hanno continuato a fare servizio nella Lombardia occidentale fino ai primi anni Ottanta (e analogamente le E.624 in Campania fino agli anni Settanta).


Il sistema trifase era un'altra cosa. L'infrastruttura era certo più complicata, dato che i fili aerei dovevano essere due (la terza fase, ancora una volta, era data dalle rotaie), ma il motore trifase asincrono era ed è il motore elettrico più semplice e robusto, idoneo a una "vera" ferrovia, non solo a un tram. Nel 1901, poi, i previsti 3000 V erano un primato mondiale, la tensione più elevata mai portata all'interno di un veicolo ferroviario (nei primi decenni del XX secolo, l'isolamento elettrico, in mancanza di moderni materiali isolanti, era uno tra i problemi più significativi).

La Rete Adriatica, in un contesto tanto rivoluzionario, poteva però appoggiarsi alla tecnologia della società ungherese Ganz di Budapest, che si assumeva buona parte dei rischi. Che la tecnologia trifase nascesse all'estero non deve comunque stupire: l'industria italiana del tempo non era assolutamente in grado di progettare o costruire tali apparecchiature. Anche gli altri sistemi sperimentati erano di concezione straniera: ancora ungherese per gli accumulatori di Bologna, tedesca per quelli della Milano-Monza, francese e americana per le Varesine; le prime macchine trifasi di progettazione tutta italiana, E.554 ed E.432, arriveranno solo nel 1928.

In realtà l'esperimento valtellinese diede ottimi risultati e già dal 1904, terminato il periodo di garanzia, la RA rilevò tutti gli impianti dalla Ganz, di modo l'anno seguente le nuove FS ereditarono non solo l'elettrificazione varesina, ma anche una rete trifase già completamente funzionante.


Le locomotive trifasi: una singolarità italiana

La fortuna della trazione trifase è legata alle montagne e alle due caratteristiche che hanno le ferrovie che le attraversano: gallerie lunghe e pendenze elevate. Nel 1905 stava per essere completato il traforo del Sempione: 19,8 km di tunnel, il più lungo al mondo, e, a differenza del Frejus e del Gottardo, realizzato a binario semplice (il secondo binario sarebbe stato attivato nel 1922 su una seconda galleria parallela; vedi una descrizione d'epoca dalla Guida del Touring).

Pensare di esercitare a vapore una galleria simile appariva quanto mai azzardato: i fumi rischiavano di renderla impraticabile, a meno di non attendere tempi lunghissimi tra un treno e il successivo. La società svizzera Brown Boveri propose di elettrificare la galleria a proprie spese, utilizzando il sistema trifase che anch'essa stava sperimentando, in concorrenza alla Ganz (la RA aveva infatti ordinato proprio alla Brown Boveri due nuove locomotive per la Valtellina). I lavori di elettrificazione durarono meno di sette mesi: un risultato eccezionale, se si pensa che si trattava di un sistema all'avanguardia a livello mondiale. In attesa di disporre di locomotive appositamente costruite, il servizio cominciò nel 1906 utilizzando tre locomotive Ganz della Valtellina prese a noleggio (361-363) e successivamente le due nuove locomotive Brown Boveri, in origine destinate anch'esse alla Valtellina (364-365).

In realtà queste locomotive dal punto di vista elettrico erano ancora quanto mai primordiali, tanto è vero che in Svizzera, solo sette anni più tardi, per l'elettrificazione del nuovo tunnel del Lötschberg (1913) si scelse il sistema a corrente alternata monofase a 15 kV e 16 2/3 Hz, che sarebbe diventato poi lo standard di quella nazione, e di tutta l'area di lingua tedesca (dopo che l'elettrificazione del Lötschberg aveva fatto di Briga la prima stazione bicorrente al mondo, il Sempione stesso verrà convertito in monofase nel 1930).


Ma era l'altra caratteristica delle linee alpine, la pendenza, quella in cui che il sistema trifase compì la propria rivoluzione. La velocità di rotazione del motore trifase asincrono dipende infatti solo dal numero di poli e dalla frequenza di alimentazione (altri dettagli). A differenza del motore a corrente continua, essa è in larga misura indipendente dalla coppia resistente applicata (naturalmente, al crescere della coppia resistente, cresce la corrente assorbita, in quanto occorre più energia per far andare il motore). Questo significa che una locomotiva trifase è in grado di arrampicarsi su qualunque pendenza, a velocità costante, per lo meno fino al raggiungimento della corrente massima ammissibile.


In meno di un decennio, il sistema trifase italiano usciva dal periodo sperimentale e raggiungeva la maturità: lo si deve alla Ganz e al suo tecnico più insigne, Kálmán Kándó, che aveva seguito fin dal principio l'avventura valtellinese e arrivò in Italia per progettare i nuovi gruppi di macchine trifasi. A Vado Ligure si aprì il primo stabilimento al mondo espressamente realizzato per costruire locomotive elettriche: diventerà lo stabilimento del TIBB (Tecnomasio Italiano Brown Boveri, poi passato all'ABB e oggi ancora attivo sotto il controllo della Bombardier).

Nel 1908 nascevano le E.550: minuscole locomotive dalle prestazioni sorprendenti. Dopo un primo esercizio in Valtellina, nel giro di pochi mesi rivoluzionarono il servizio sulla linea dei Giovi, da Genova a Busalla, primo valico elettrificato in trifase nel 1911. Rispetto alle migliori macchine a vapore da montagna, le 470, le E.550 pesavano il 20% in meno (60 t contro 75) e potevano affrontare la rampa a velocità doppia (50 km/h invece di 25) con un carico del 12% superiore (190 t invece di 170) e naturalmente senza più fumo, in condizioni di lavoro incomparabilmente migliori. Utilizzando le E.550 in doppia trazione (una macchina in testa e una in coda) si potevano effettuare treni da 380 t con frequenza di 10 minuti, un risultato impensabile con la trazione a vapore.

L'elettrificazione dei Giovi (1911)
Threephase Electrification on the Giovi Pass (line Genoa-Turin/Milan) in 1911

Confronto tra locomotiva a vapore 470 e locomotiva elettrica trifase E.550

The E.550 electric engine had a weight 20% less than 470 steam engine, could take the ramp at double speed (50 km/h instead of 25), with a load of 190 t instead of 170 and of course without smoke in the tunnel. With E.550 the capacity of the Giovi Line was doubled.

Disegno delle 470 di Guglielmo Valetti

Dopo i Giovi, nel giro di 24 anni, cioè entro il 1935, vennero elettrificati tutti gli altri principali valichi dell'Italia settentrionale: nell'ordine, Frejus, Cadibona/Belbo, Succursale dei Giovi, Porrettana, Turchino, Brennero, Pontremolese, Tenda.

Nel frattempo, trovava una soluzione anche l'ultimo tassello mancante: l'uso della trazione elettrica per treni rapidi sulle linee principali. Negli anni Dieci, parlare di alte velocità significava puntare ai 100 km/h. Nel 1914, nascevano le E.330, che, grazie a uno schema elettrico allora assai innovativo, potevano disporre di quattro velocità di regime: 25, 50, 75 e appunto 100 km/h. La marcia a velocità costante, di cui si è detto, aveva infatti come peculiare conseguenza il fatto che ogni locomotiva disponesse di un ridotto numero di velocità di regime, o, come si usa dire, di sincronismo: in genere, due, tre o al massimo quattro. La marcia a velocità differenti era sostanzialmente impossibile, se non per brevi tratti e negli avviamenti, mediante l'uso del reostato, la cui azione - la modifica della tensione di alimentazione dei motori - era sostanzialmente analoga a quello delle macchine a corrente continua (vedi una spiegazione sul loro funzionamento).

Con le E.330, per la prima volta a livello mondiale, si poteva affermare che la trazione elettrica fosse in grado di sostituire la macchina a vapore - e di sostituirla in meglio - in tutti i tipi di servizio, non solo sulle linee secondarie o suburbane e non solo in montagna.

Dopo E.550 ed E.330, vennero altri otto gruppi di macchine trifasi (E.331, E.332, E.333, E.431, E.432 per treni viaggiatori ed E.551, E.552, E.554 per treni merci), alcuni riusciti, altri meno, ma tutti con quella che potremmo definire una spiccata personalità: forme inconfondibili, massicce (E.554) o eleganti (E.431), singolari (E.333) o robuste (E.432). Chi ha avuto la fortuna di conoscere le macchine trifasi, anche solo tra i ricordi di bambino in vacanza in Riviera, non le ha più dimenticate. Altri, come chi scrive, le ricordano ancora come una presenza inconsueta e via via familiare, nelle prime visite al Museo della Scienza e Tecnica di Milano.


L'evoluzione della tecnica trifase si fermò agli anni Venti, quando le FS si orientarono sul sistema a corrente continua a 3000 V, ancor oggi utilizzato, e di cui daremo altri dettagli nel prossimo capitolo: il progredire della tecnica rendeva concorrenziale la macchina a corrente continua, per tutti i tipi di servizi, mentre del sistema trifase pesavano come peccati originali proprio quegli stessi aspetti che lo rendevano così caratteristico e fascinosamente unico: la linea aerea bifilare e la trasmissione a bielle, entrambi indubbi elementi di delicatezza.

Proprio alla fine degli anni Venti, va citato l'esperimento con tensione di 10.000 V a frequenza industriale, cioè a 45 Hz, in luogo della consueta frequenza "ferroviaria" di 16 2/3 Hz: la frequenza industriale evitava la necessità di centrali di conversione di frequenza e la maggior tensione riduceva le perdite in linea (maggior tensione significa minor corrente a parità di potenza e le perdite sono proporzionali alla corrente). Naturalmente, con la maggior frequenza, i motori giravano più veloci, e quindi doveva essere previsto un riduttore ad ingranaggi tra motore e bielle. Per il resto le macchine a frequenza industriale conservavano tutti i pregi e difetti di quelle tradizionali: trasmissione a bielle, marcia a velocità di sincronismo, due fili aerei, ecc.

Vennero realizzati ulteriori tre gruppi (E.470, E.472 ed E.570, più l'esemplare unico e incompiuto E.471 bifrequenza), che prestarono servizio sulla Roma-Sulmona, unica linea così elettrificata nel 1928-33. Linea e macchine vennero completamente distrutte durante la guerra: la ferrovia fu rielettrificata a corrente continua e nessun esemplare di locomotiva è sopravvissuto fino a noi.

Trifase a frequenza industriale
Threephase System at 10000 V, 45 Hz

Locomotiva elettrica E.472 (1923-30)

In late 1920's, FS experimented a new threephase system with higher voltage and frequency (10000 V, 45 Hz, instead of 3600 V, 16 2/3 Hz). It was used on the Rome-Sulmona line and 17 E.472 were built by Breda , together with other 8 engines (E.470, E.471, E.570). Both electrification and locos were destroyed by the war and in the reconstruction, standard DC system was used.

Disegno di Guglielmo Valetti


Nell'ultimo dopoguerra, limitato alla linea del Brennero (fino al 1965) e all'area ligure-piemontese, il sistema trifase tradizionale, cioè a bassa frequenza, sopravvisse per un altro trentennio, fino al 25 maggio 1976. Gli ultimi sviluppi riguardarono l'allestimento di rimorchiate bicorrenti (Lebc 840, dal 1957), che permettevano alle elettromotrici a corrente continua di viaggiare anche sulle linee trifasi, e soprattutto il perfezionamento di un ingegnoso sistema di comando multiplo (1958-1965), mediante il quale un solo macchinista comandava due locomotive in doppia trazione.

E' chiaro che la lenta soppressione della trazione trifase è stata una diretta conseguenza della scarsità di risorse destinate in quegli anni alle ferrovie. Per certi versi ne è stata quasi il simbolo, tanto che, per molti appassionati dell'epoca, le locomotive trifasi incarnarono un mondo che andava scomparendo, il senso di una decadenza, triste ed eroica, per quello che mezzo secolo prima era stato un prodigio della nuova tecnologia. Ed è forse per questo che, a distanza di altri trent'anni, il sistema trifase continua a suscitare tanto interesse.

Del parco trifase rimangono oggi 13 locomotive, appartenenti a 9 dei complessivi 14 gruppi a frequenza ferroviaria, conservate in maggior parte presso il Museo Ferroviario Piemontese, a Pietrarsa e al Museo della Scienza e Tecnologia di Milano. Come abbiamo accennato sopra, nessun esemplare è sopravvissuto dei 4 gruppi a frequenza industriale, delle macchine del Sempione (nemmeno in Svizzera), né delle prime elettromotrici valtellinesi.


 

Le nuove Ferrovie dello Stato: la corrente continua e le «direttissime»

La prima guerra mondiale rappresentò inevitabilmente un freno alla realizzazione di nuove infrastrutture, alcune delle quali già intraprese; solo a partire dagli anni Venti, le FS poterono tornare alla costruzione di nuove linee. Non si trattava più di ramificare una rete, che già aveva raggiunto una diffusione sufficientemente capillare, quanto piuttosto di realizzare quegli interventi che potevano renderla più moderna: riorganizzazione di nodi, elettrificazioni, nuove linee «direttissime». Di direttissime se ne realizzarono due, che fecero fare uno spettacolare salto di qualità al servizio sulla direttrice dorsale Milano-Napoli: nel 1927 venne aperta la nuova Roma-Napoli via Formia, che si affiancava alla precedente linea via Cassino; nel 1934 fu inaugurata la Bologna-Prato-Firenze, già da subito a trazione elettrica.

Se la Roma-Napoli, con il suo andamento favorevole, rettilineo e pianeggiante, diventava il banco di prova privilegiato per stabilire record di velocità di sicuro successo, la Bologna-Prato era la vera rivoluzione. Essa andava a sostituire quell'altra dorsale fondamentale rappresentata dalla Porrettana: il tracciato si riduceva del 27% (96 km invece di 131), la pendenza scendeva dal 26 al 12‰, la quota di valico si abbassava da 615 a 322 m, la velocità massima saliva da 75 a 120-180 km/h. Il tempo di percorrenza tra Bologna e Firenze, che già l'elettrificazione trifase della Porrettana (1927) aveva abbassato da 3 ore a 2.30, precipitava ora a meno di 1.15. Anzi: le potenzialità della nuova linea erano tanto notevoli che, d'un tratto, perdevano importanza anche le altre due trasversali minori - la Pontremolese Parma-La Spezia e la Faentina Faenza-Firenze - che nell'ultimo decennio dell'Ottocento erano state affiancate alla Porrettana nel tentativo di alleggerirne il carico. Cardine di tanto risultato era in primo luogo la Grande Galleria dell'Appennino: 18,5 km, seconda al mondo per lunghezza, dopo il Sempione. Era costata 11 anni di lavoro; aveva visto sorgere un intero villaggio di operai, Ca' di Landino, nel cuore delle montagne appenniniche; conteneva addirittura una stazione sotterranea, la celebre Precedenze, destinata a permettere che i treni più lenti cedessero il passo ai più veloci, e che sarebbe rimasta attiva fino alla metà degli anni Sessanta.

La Direttissima Bologna-Firenze (1934)
The new line across Appennini, between Bologna and Florence (1934)

Le gallerie dei binari di precedenza esistono ancora ma i binari stessi sono stati rimossi e, passandovi oggi, solo a uno sguardo attento si riconosce per un istante l'allargarsi del tunnel in corrispondenza di Precedenze.

The Great Tunnel of Appennini (Grande Galleria dell'Appennino) is 18.5 km long. In the middle of the tunnel a station was built, called Precedenze. It had two additional tracks, on separate tunnels (each 448 m long), to permit overtaking of faster trains on slower ones. The separate tunnels still exist but their tracks have been removed many years ago.

Da/From: Ingegneria ferroviaria n. 7-8/1961


Ma la sola nuova infrastruttura non sarebbe bastata, se non fosse stata accompagnata da una delle altre novità che distinsero le FS nel periodo tra le due guerre: l'elettrificazione a corrente continua a 3000 V, che, dopo quasi un decennio di sperimentazioni, era pronta per essere applicata in grande stile a tutta la dorsale da Milano a Reggio Calabria. I suoi 1310 km a trazione elettrica, completati nel 1939, rappresentavano un'opera senza eguali al mondo, così come senza eguali era il numero di locomotive elettriche che vi potevano prestare servizio: 691 esemplari, ripartiti in soli tre gruppi unificati (E.626, E.326 ed E.428).

Sviluppo della trazione elettrica
Length of electrified tracks on FS network

Già nel 1949, la lunghezza dei binari elettrificati eguaglia il valore prebellico (si noti che il grafico conta i km di singoli binari, non di linea ferroviaria, il cui valore è indicativamente la metà).

In 1949, only 4 years after the end of the war, the total length was equal to the pre-war value.

Da/from: Ingegneria ferroviaria n. 7-8/1961

Insieme alle elettrificazioni e alle direttissime, le FS portarono avanti altri interventi di minore impegno, ma ancor oggi vantaggiosi, come la nuova linea Torino-Savona via Fossano (1933) o il percorso diretto Arquata-Ronco sulla Milano-Genova (1922). Altre realizzazioni hanno in seguito assunto nuove valenze, soprattutto turistiche, come la ferrovia internazionale del Tenda tra Cuneo e Ventimiglia (1928): sui suoi 1000 metri di dislivello, si contano ben quattro elicoidali - vale a dire gallerie dal tracciato circolare, atte a guadagnare quota - tanti quanti se ne trovano lungo la assai più celebrata ferrovia svizzera del Gottardo.


Infine non può essere dimenticata la riorganizzazione dei grandi nodi metropolitani, in primo luogo quello di Milano (leggi tutto il racconto). Se infatti molte storiche stazioni ottocentesche erano ancora in grado di svolgere appieno i loro compiti, da Genova Piazza Principe (1854) a Torino Porta Nuova (1868), a Milano, già dai primi anni del nuovo secolo, si era progettato un completo rifacimento delle linee ferroviarie in arrivo, comprendente anche la costruzione di una nuova stazione centrale, che sostituisse quella del 1864, ormai insufficiente. I lavori andarono per le lunghe e la nuova Milano Centrale poté essere inaugurata solo nel 1931 (vedi l'articolo dell'epoca da Le vie d'Italia del TCI); molti vi ravvisarono i segni di una progettazione ormai antiquata, che privilegiava la monumentalità sulla funzionalità. In realtà, le cinque grandi tettoie metalliche erano e sono ancor oggi una pregevole testimonianza di quell'architettura del ferro che tanto ruolo ebbe nel secondo Ottocento. Proprio perché arrivate per ultime, sono anche le uniche italiane sopravvissute fino a noi: tutte le altre innumerevoli stazioni in origine dotate di arcate metalliche sui binari, le hanno infatti perse, per eventi bellici o successive ricostruzioni.

E' in ogni caso assai significativo confrontare gli esiti architettonici di Milano Centrale con Firenze Santa Maria Novella, inaugurata appena quattro anni più tardi (1935) e radicalmente diversa: progettata dall'Arch. Giovanni Michelucci, essa viene infatti considerata una delle più interessanti realizzazioni della nuova scuola razionalista (vedi alcuni esempi delle decorazioni originali ancor oggi presenti). Anche Roma Termini si sarebbe dovuta annoverare fra le grandi realizzazioni degli anni Trenta, ma la nuova guerra mondiale ormai alle porte fece rimandare il suo completamento fino al 1950, quando si poté finalmente inaugurare il grande edificio che oggi conosciamo.


Il dopoguerra: nuovi modi di viaggiare

E' ben noto a quanto ammontavano le distruzioni alla fine dei cinque anni di guerra: il 25% delle linee, oltre il 60% del parco rotabili, addirittura il 90% di quelle elettrificazioni che tanto avevano rese celebri le FS nei decenni precedenti. La ricostruzione della rete e dei rotabili fu qualcosa di straordinario: se gli Alleati avevano preventivato almeno 12 anni per ritornare alla situazione prebellica, già verso il 1952 la ricostruzione poteva dirsi conclusa. Molti studiosi vedono tale data come una sorta di limite, di separazione tra la "ferrovia classica", che svolge un ruolo fondamentale per la mobilità del paese, e l'inizio del declino, la perdita di competitività, il dirottamento delle risorse verso altri settori: in primo luogo, naturalmente, l'automobile privata.

La ricostruzione postbellica
Reconstruction of Bridges after World War 2

Il viadotto di Recco, per l'importanza della linea e la qualità stilistica della realizzazione, può essere considerato uno dei simboli della ricostruzione delle ferrovie.
Il paese di Recco, che si stendeva ai piedi del viadotto, è stato anch'esso raso al suolo dai bombardamenti ed è stato poi ricostruito con massicce volumetrie di edilizia economica (vedi alcuni dettagli).

The Recco Viaduct (line Genoa-La Spezia) was rebuilt in 1946-48 with 6 parabolic arches on a curve of 400 m radius. Thanks to its design qualities and to the importance of the railway line, it can be assumed as one of the symbols of the reconstruction.

Da/From: Ingegneria ferroviaria n. 7-8/1961

Anche il viadotto di Desenzano è un caso emblematico della ricostruzione. Benché siano stati utilizzati i piedritti originali, l'aspetto finale è completamente trasfigurato rispetto alla celebre versione d'origine, e questo ne fa anche il simbolo delle perdite del patrimonio storico e tecnico che la guerra e la necessità di una rapida ricostruzione hanno portato alle ferrovie italiane.

Also the Desenzano Viaduct (line Milan-Venice) is a symbol of the reconstruction. In this case the final result is very different from the previous bridge, with precious gothic arches. So, this is also an example of the extent to which the historical heritage of Italian railways was lost due to the war.

Da/From: Ingegneria ferroviaria n. 7-8/1961

In realtà, la situazione è un poco più complessa. E' fuor di dubbio che gli anni Cinquanta hanno rappresentato una svolta nel modo in cui l'Italia e gl'italiani considerarono le proprie ferrovie.
Nel 1953 - dunque proprio al termine della ricostruzione - la Breda consegnava i due elettrotreni «Settebello», destinati a riproporre e innovare i servizi celeri e di lusso. Nel 1958, si autorizzava la costruzione dell'Autostrada del Sole, completata da Milano a Napoli entro il 1964. Tra queste due date può porsi la svolta; e dopo la seconda data, risultò quanto mai evidente che le risorse stavano per cambiare destinazione. Del resto, gli oltre 4800 km di rete autostradale costruiti nel ventennio successivo (1958-78) non potevano che richiedere investimenti ragguardevoli, tali da incidere significativamente sul bilancio della nazione.

Questo tuttavia non vuol dire che le ferrovie si fermarono. Come vedremo in seguito, esse cominciavano proprio allora a svolgere ruoli quasi del tutto nuovi, a supporto prima dell'immigrazione e poi dei movimenti pendolari; anche la sperimentazione di nuovi rotabili proseguì e portò a risultati di rilievo. Tuttavia, il ritmo di crescita complessivo della mobilità prese ad essere tanto rilevante che, semplicemente, travalicò quello pur continuo delle ferrovie.

Il «Settebello» a Milano Centrale
The ETR.300 «Settebello» in Milan Central Station

I primi due esemplari del nuovo elettrotreno di lusso vengono consegnati dalla Breda nel 1953, il terzo nel 1959. Il Settebello ha fatto servizio sulla Milano-Roma fino al 1984, prima come rapido, poi come TEE. Successivamente ha svolto altri servizi rapidi e infine collegamenti turistici.
Oggi sopravvive solo l'ETR.302, fermo in attesa di restauro dal 2004 e i cui preziosi arredi originali sono stati sostituiti con comuni sedili da Intercity. Gli altri due elettrotreni, che avevano ancora tutti gli arredi d'epoca, sono stati invece irresponsabilmente demoliti negli anni Novanta.

Two units of this 7-car luxury train were built by Breda in 1953, the third unit was delivered in 1959. The Settebello was used up to 1984 on the Milan-Rome route, first as a rapid train, then as part of the Trans Europ Express network. The driver's cab was at a higher level, so that both ends of the train had a vista dome (Salottino belvedere).
The last unit (ETR.302) was used up to 2004 for tourist services and now is waiting for repair, but its precious fittings have been replaced by standard Intercity seats. The other two units (with original fittings) have been withdrawn in 1990's.

Da/From: Milano 1945-1955, Comune di Milano/Amilcare Pizzi, 1955

Mentre si delineava l'esigenza di una nuova linea veloce Firenze-Roma, che completasse la tratta lasciata scoperta dalle due direttissime prebelliche, le elettrificazioni continuarono con regolarità: la Milano-Venezia nel 1957 e la Milano-Torino nel 1961 possono essere assunte come due pietre miliari; con il completamento della trazione elettrica sull'intera Torino-Trieste (nella Venezia Giulia l'elettrificazione risaliva al 1936), la trazione a vapore abbandonava per sempre la rete fondamentale delle FS, incominciando il suo definitivo declino. Lavori ancor più significativi si ebbero nel campo dei raddoppi: era ormai indifferibile il superamento dei limiti imposti dal binario semplice su linee dal traffico sempre più intenso. Il raddoppio dei 360 km della Tirrenica meridionale, da Battipaglia a Villa San Giovanni, completato nel 1971 con l'inaugurazione della variante Eccellente-Rosarno, costituì una delle sfide di maggiore impegno: se ne ha ancor oggi la percezione osservando i diorami presenti al Museo della Scienza e Tecnologia di Milano, realizzati proprio in quegli anni e tutti focalizzati su tale impresa.


Le automotrici diesel

Dopo la guerra, le automotrici crebbero, in quantità e anche in dimensione: in quantità prima di tutto con le ALn 772, realizzate in ben 223 esemplari nel lungo intervallo di tempo 1940-57, e che si diffonderanno ovunque, dal Piemonte alla Sicilia, dal Veneto alla Sardegna, fin a cessare il servizio solo nel 1986; in dimensione con le ALn 880 e 990 (Fiat e OM; 1950-53): 80 posti a sedere, quasi il doppio di una Littorina, e i motori non più collocati in cabina, ma longitudinalmente sotto la cassa, permettendo di realizzare l'intercomunicazione di più unità accoppiate.

Alla fine degli anni Cinquanta, molte linee principali non erano ancora elettrificate, inclusa tra l'altro la costiera ionica Bari-Reggio di Calabria e la dorsale sarda (entrambe ancor oggi a trazione diesel, escluso il primo tratto Bari-Sibari). Proprio per queste linee, dal 1956 al 1962 le FS realizzarono un nuovo gruppo di automotrici per servizi rapidi, le ALn 773, che fossero in grado di offrire un buon comfort, insieme a un aspetto attraente, enfatizzato dalla nuova colorazione in rosso brillante, la prima che abbandonava il tradizionale Isabella, e della quale si provarono vari schemi, segno di una ricerca stilistica prima inusitata.

Ma la vera innovazione arrivò nel 1956, quando alla Fiera di Milano fu presentata la prima ALn 668. Una costruzione tanto semplice quanto robusta, che rendeva il mezzo versatile ed efficiente come un autobus, rappresentò una "semplice rivoluzione" nel campo delle automotrici e aprì la strada a un successo tecnico e funzionale, che ha portato le ALn 668 a rappresentare oltre i tre quarti del parco di automotrici diesel FS. Dopo le prime serie costruite da Fiat e Breda al principio degli anni Sessanta, le forniture continuarono con regolarità per più di due decenni, seguendo l'evolversi della tecnica: nuovi motori e carrelli più moderni aggiornavano il modello senza mai tradire il progetto d'origine, e le ALn 668 si diffondevano ovunque, per un totale di 785 esemplari costruiti, a cui se ne aggiungevano altri 87 acquisiti da 9 ferrovie in concessione. Unici rotabili in servizio su moltissime linee secondarie, dalla Valpusteria alla Monza-Molteno, dal Monferrato alla Sicilia, hanno coperto anche relazioni più importanti, come gli espressi Torino-Nizza o i Pescara-Napoli via Sulmona-Isernia.

Alla fine è arrivata anche una nuova cassa, più squadrata, e arredi assai più confortevoli, ripresi dalle carrozze per media distanza: era il 1983 e nascevano le ALn 663. Dopo i loro 120 esemplari (più altri per le ferrovie in concessione), le residue elettrificazioni degli ultimi vent'anni hanno reso superfluo un ulteriore ampliamento del parco, tanto che solo oggi si comincia ad assistere a un nuovo ricambio generazionale. Le ALn 501/502 «Minuetto» di Alstom, che introducono in Italia il concetto di automotrice articolata a piano ribassato, rappresentano un indiscutibile salto di qualità per il comfort del viaggiatore, suffragato dal successo già ottenuto all'estero, soprattutto in Germania, con i rotabili di questa categoria, quali ad esempio il Talent o il Desiro (per un confronto con altri rotabili simili, si veda l'articolo sui costi dei treni).


Infrastrutture moderne per treni veloci e treni pendolari

L'ultimo trentennio ci porta a parlare di realizzazioni su due fronti complementari: da un lato, insieme ad altri nuovi raddoppi, si costruisce la prima linea ad alta velocità italiana, la Direttissima Firenze-Roma. Dall'altro, si intraprendono nuove importanti opere in ambito urbano e suburbano, destinate alla mobilità di breve raggio, di tipo quasi metropolitano, a Milano, Torino, Roma e, in misura minore, altri capoluoghi.

I lavori per la nuova linea direttissima cominciano nel 1970; la prima tratta è inaugurata nel 1977 e l'opera è conclusa nel 1992. Nel 1986, per la prima volta, i treni sono autorizzati a viaggiarvi a 200 km/h, superando quel limite di 180 km/h vigente fino ad allora anche sulle tratte più veloci della rete FS, come la Roma-Napoli. Due anni più tardi, con l'orario estivo 1988, gli ETR.450 in servizio regolare a 250 km/h (massima velocità ancor oggi ammessa in Direttissima) collocano i servizi Milano-Roma al secondo posto in Europa per velocità massima, subito dopo i TGV francesi, che in quegli anni viaggiano a 270 km/h.

Proprio sulla base degli indiscutibili vantaggi che la Direttissima garantisce al servizio a lunga percorrenza, già verso la fine degli anni Ottanta si delinea una nuova rete ad alta velocità, estesa almeno agli assi Torino-Venezia e Milano-Roma-Napoli-Battipaglia. Pronostici fin troppo ottimistici parlano di una realizzazione completa nel giro di 5-6 anni; in realtà, dopo varie incertezze, i lavori prendono corpo solo intorno al 1995 per la Milano-Firenze e la Roma-Napoli e la realizzazione è inevitabilmente lunga a causa della complessità delle opere: Bologna-Firenze quasi integralmente in galleria(!) e Milano-Bologna con lunghi tratti in viadotto.

La nuova Roma-Napoli, terza linea ferroviaria che collega i due capoluoghi, entra in esercizio proprio alla fine del 2005, dopo circa undici anni di lavori. Ad essa faranno seguito la Torino-Milano (aperta all'inizio del 2006 fino a Novara) e la Milano-Bologna, ormai in via di completamento. Queste linee sono autorizzate a 300 km/h, la stessa velocità raggiunta nel frattempo anche dai TGV e sono alimentate a corrente alternata monofase (25 kV, 50 Hz), il che le rende incompatibili con i normali treni italiani a corrente continua; anche il tipo di servizio che vi si svolgerà a regime non risulta ancora ben delineato (vedi un commento su questi aspetti).


Ma se l'alta velocità è certo l'aspetto più appariscente del rinnovamento della rete, un ruolo probabilmente anche più importante è rivestito dagli interventi in ambito metropolitano, forse più difficili da cogliere a causa dei lunghi tempi di realizzazione - spesso troppo lunghi - e del fatto che sono in maggioranza ancora oggi in corso. La costruzione del Passante ferroviario di Milano, concepito sul finire degli anni Sessanta, inizia nel 1984. Nel 1997 viene inaugurata una prima tratta, ma è solo nel 2004 che il Passante acquista le caratteristiche legate al suo nome: una ferrovia sotterranea, appunto "passante", che attraversa la città da nord-ovest (stazioni di Certosa e Bovisa), fino a est (nuova stazione di Porta Vittoria), permettendo ai treni suburbani di distribuire e caricare viaggiatori in ben sette stazioni urbane. La seconda uscita, quella a sud (stazione di Rogoredo) verrà definitivamente completata solo nel 2008, a 24 anni dall'inizio dei lavori.

Un passante ancor più impegnativo e ancora in costruzione è quello di Torino, dalla stazione di Porta Susa verso Porta Nuova e Lingotto. Qui il tracciato, diversamente dal caso di Milano, è comune ai servizi regionali e a quelli a lunga percorrenza e questo consiglia di realizzare ben sei binari (invece dei normali due di Milano), in parte costruiti a quote sovrapposte. I lavori sono estremamente complessi, anche perché si svolgono sullo stesso tracciato della linea attuale e non è pensabile di interrompere il servizio sostituendolo con corse di autobus, come invece si è disinvoltamente fatto in molti altri casi su linee minori.

Lavori minori ma comunque utili vengono poi compiuti anche a Genova (nuova stazione di Piazza Principe "sotterranea", 1993), a Roma (rifacimento con caratteristiche suburbane della tratta iniziale della linea di Viterbo, fine anni Novanta), a Palermo (collegamento con l'aeroporto), Reggio di Calabria (nuove fermate suburbane).

Sulle linee tradizionali, prosegue un vasto programma di elettrificazioni, in pianura padana (aree di Mantova, Ravenna, Treviso), Sicilia (trasversali interne, tra il 1987 e il 1996), Puglia e Calabria (Bari-Lecce, Taranto-Cosenza).

Infine sono da citare la riapertura del collegamento diretto tra Firenze e la Faentina (1999), ultimo ripristino di una ferrovia interrotta dalla guerra, dopo la Limone-Ventimiglia che era stata riaperta nel 1979, e la nuova linea diretta Paola-Cosenza (1987) che permette di chiudere l'ultima linea a dentiera delle FS.

I lavori di raddoppio proseguono a fasi alterne: se ne completano alcuni estremamente impegnativi, che in pratica sono considerabili alla stregua di ferrovie interamente nuove, come la linea di valico Pontebbana Udine-Tarvisio, mentre altri, apparentemente più facili, continuano ad essere incompleti nonostante vi si lavori da decenni: il caso della linea di pianura Verona-Bologna ne può essere considerato il simbolo.


Infine non si può fare a meno di osservare come, già dai primi anni Novanta, il doveroso processo di modernizzazione e automazione della rete si tramutò presto in una soppressione generalizzata di tutti i binari di incrocio e di precedenza non strettamente indispensabili, prima sulle linee secondarie e poi, purtroppo, anche sulle principali. Si inventò persino un nome per definire queste linee impoverite e ridotte ai minimi termini: "rete snella", un amaro eufemismo, secondo il quale una ferrovia senza stazioni, senza scambi, senza "binari di troppo" si gestisce più agevolmente - appunto in modo più snello - di una tradizionale, con tutti i suoi binari al loro posto (in realtà è vero proprio l'opposto: la rete snella è una ferrovia ingessata, incapace di assorbire le perturbazioni, che offre una capacità inferiore e non aumentabile e va in crisi di fronte alle punte di traffico).


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