L'evoluzione della carta al 200.000 del Touring Club Italiano
Dall'1:250.000 di inizio secolo ai giorni nostri

Scritto ad aprile 2014

Introduzione

Di Paolo Rumiz ho già riprodotto un'ampia selezione tratta da Appennino, il cuore segreto, che narra il viaggio lungo l'Italia, compiuto su una Topolino del 1953. Il libro La leggenda dei monti naviganti espande il racconto di quel viaggio con un gran numero di nuovi dettagli: tra questi ho recuperato una pagina in cui vengono ricordate le mappe d'epoca del Touring Club Italiano, con rigore filologico unito a un sincero affetto. Vista l'importanza che le mappe storiche rivestono per questo sito, mi sembrava doveroso includere anche quella pagina, accompagnandola con un supporto cartografico scansionato appositamente per l'occasione.

Nel suo testo, Rumiz si riferisce prioritariamente alla carta in scala 1:250.000, realizzata nei primi anni del XX secolo (dal 1908 circa), quasi in parallelo con la prima edizione della Guida d'Italia - la celebre Guida Rossa - uscita a partire dal 1914. Nell'illustrare questo articolo mi è parso spontaneo proseguire con la successiva carta in scala 1:200.000, di cui sono disponibili numerose edizioni, a partire dal 1932 e fino ai giorni nostri. Ho selezionato in particolare una medesima area, compresa tra Genova e Savona, curando con precisione l'allineamento delle scansioni, in modo da facilitare l'analisi dell'evoluzione del territorio. Cogliere il trasformarsi della geografia umana all'interno dei medesimi segni cartografici è un esercizio assai istruttivo e di grande fascino.


Da "La leggenda dei monti naviganti"
di Paolo Rumiz

Giangiacomo Feltrinelli Editore, marzo 2007

Pagine tratte dal Capitolo 7 Dagli Alburni al Pollino.

Scendo verso il mare ventoso di Policastro, per ritornare subito in quota. Appena fuori Maratea è visibile l'isola di Santo Janni, costellata di triremi affondate. Tra il Cilento e il Pollino, nel breve lembo di Basilicata che tocca il Tirreno, la schiena del paese diventa pazzescamente movimentata. La strada si impenna, devia, si intorcina su se stessa e non capisci mai bene verso dove. I cartelli stradali indicano Lagonegro, Lauria, Mormanno. Che cosa sono questi nomi per l'Italia gommata? Niente. Caselli autostradali. Svincoli. L'autostrada passa accanto, ma la Topolino la ignora, sfiora solitarie abbazie e forti arabo-normanni, va come la puntina di un grammofono su un disco a 78 giri, mi riporta all'Italia di prima del miracolo economico, quella di prima di Lascia o raddoppia?, prima della Seicento, delle autostrade e degli appuntamenti di famiglia negli autogrill.

Che solitudine. Sono in uno dei posti più disabitati d'Italia. La carta svela una topografia contorta di fiumare, gole e serre. Nomi magnifici. Sul Pollino c'è un posto che si chiama Timpa del Demonio e uno, subito dopo, che si chiama Ca' d'Impiso, cioè " dell'impiccato". La strada che da Lauria scende verso lo Ionio costeggiando il fiume Sinni riassume in tre toponimi un bel pezzo di storia locale: Pecorone, Latronico ed Episcopia. Come dire: pastorizia, banditismo e Bisanzio. Ma appena si sale lungo le isoipse, anche i nomi si rasserenano: Serra di Bernardo, Castelluccio, Serra la Limpida, Chiaromonte.

 

La Basilicata tirrenica, 1961-2004

Carta TCI 1:200.000, edizione 1961

Rumiz compie il suo viaggio ai giorni nostri, ma sceglie di stare lontano dalle autostrade, affidandosi alla statale 19, la Tirrenica meridionale. Rimossa dalle proprie scelte l'autostrada (e anche le strade a scorrimento veloce), lo scenario che deve considerare è molto simile a quello di questa mappa del 1961, piena di strade tortuosissime, in cui la distanza tra la statale 19 e il mare è rappresentata dai 38 incredibili kilometri della statale 104.

Oltre alla ferrovia tirrenica, lungo la costa, si riconosce il tratto terminale della Sicignano degli Alburni - Lagonegro, a scartamento ordinario, e quello successivo della Lagonegro - Spezzano Albanese, a scartamento ridotto delle Ferrovie Calabro-Lucane. Quest'ultimo in realtà era già chiuso dal 1952 tra Lagonegro e Rivello, a causa della celebre deformazione strutturale del viadotto Serra presso il capolinea.

Carta TCI 1:200.000, edizione 2004

Nella carta del XXI secolo si riconosce prima di tutto l'autostrada, con i suoi caselli citati nell'articolo, e poi le varianti della viabilità ordinaria, in primo luogo la statale 585, che hanno avvicinato le valli interne alla costa: oggi il mare è appena a 22 km dall'autostrada, in buona parte su nuovo tracciato molto più scorrevole.

La carta segna ancora a tratteggio le due ferrovie interne, benché chiuse da tempo: la linea FS dal 1986 (con la stazione di Lagonegro ancora esistente in stato di abbandono) e quella delle Calabro-Lucane dal 1978.

 


Da bambino, nelle mie scorribande toponomastiche che mi lasciavano senza fiato davanti all'atlante, giunsi alla conclusione che se quei favolosi nomi fossero scomparsi dalla carta, i luoghi stessi sarebbero scomparsi. Era un'intuizione corretta: un luogo senza nome cessa di esistere. Per questo sono ancora attaccato alle carte: servono a impedire la cancellazione della memoria. Non basta un navigatore satellitare. I luoghi vanno cercati, corteggiati, raggiunti con errori o digressioni, altrimenti escono dalla memoria. Un popolo senza senso della geografia è destinato a uscire anche dalla storia.

Ci fu un tempo in cui l'Italia ebbe fame di carte. Fu dopo l'Unità. Primi del Novecento: quella era Italia. I politici pedalavano. Quintino Sella saliva il Monviso in cordata con i parlamentari e stappava in vetta bottiglie di Barbera. Giuseppe Zanardelli, da Primo ministro, esplorava la selvaggia Basilicata a dorso di mulo - lui bresciano - per capire com'era fatto il paese. E Luigi Vittorio Bertarelli, presidente del Touring Club e figlio della grande borghesia milanese oggi estinta, sudava in bicicletta da solo per le strade del profondo Sud - Pollino, Sila e Aspromonte - con un taccuino di appunti. Annotando pendenze, passaggi a livello, stato della carreggiata, e inventandosi i prototipi di quella che sarebbe stata la segnaletica attuale del pianeta Italia.

La prima carta del Tci fu il prodotto di un'epoca. Era appena finita la stagione delle esplorazioni, impazzavano romantici feuilleton e racconti di viaggio, nasceva il turismo e l'Europa degli ultimi walzer - ignara della guerra alle porte - era divorata dall'impazienza di conoscere il territorio nelle sue pieghe minimali. Le carte terrestri, fino ad allora, erano cose per militari. E quando Bertarelli decise di mettere mano alle mappe al 100 mila dell'Igm per trasformarle in un minuzioso affresco dell'Italia, su scala 250 mila, fu una rivoluzione democratica simile a internet. Venivano messe "in rete" le conoscenze di pochi.

I cartografi dell'esercito regio avevano finito da poco il lavoro. Una ricerca pionieristica, che assemblava le carte dei vari regni e principati della Penisola. In questo contesto prese forma l'idea di Bertarelli. Una mappatura che mobilitasse, nella sua costruzione, i soci del Club. La risposta dell'Italia riunificata fu stupefacente. Sull'Istituto De Agostini, che produceva materialmente le nuove carte, piovvero valanghe di dettagli. Ponti, boschi, case, frazioni, mulattiere, pendenze, primizie toponomastiche, persino la rete antica dei tratturi che l'Igm aveva quasi ignorato. La ricchezza dei particolari e la perfezione dell'assetto grafico - affidata a incisori importati anche dalla Germania sotto la supervisione grafica di Achille Bardano - superarono qualsiasi carta militare precedente e resero le nostre carte le migliori in Europa.

Erano mappe straordinarie. Quand'ero bambino mio padre le usava ancora. Le tirava religiosamente fuori dall'involucro di pergamena impermeabile, le stendeva sul tavolo della cucina e mi insegnava a leggere le distanze e a pianificare i viaggi in automobile - la leggendaria Giardinetta con le portiere in legno - in occasione dei quali mi avrebbe nominato ufficiale di rotta. Su quelle isoipse, quei toni del verde e del marrone capaci di comunicare frenesia migratorie da Grand Tour, su quel turchino inimitabile dei fiumi e dei laghi, generazioni di italiani avevano già costruito la loro percezione dello spazio e il loro immaginario dell'Altrove.

L'ultima meraviglia di un'epoca perduta fu il grande Atlante internazionale del 1950, che proiettò il Touring ai vertici mondiali e divenne il top del suo genere, prima delle aero-fotogrammetrie e dei sistemi di orientamento satellitare. Subito dopo questa performance, arrivò la normalizzazione. Il Club finì per dimenticare le sue gloriose radici ciclistiche (la ruota della bici è rimasta solo nel logo dell'associazione) e si adeguò all'automobile. Semplificò le carte, le portò a scala 200 mila. Ma conservò l'essenziale del grande impianto estetico delle progenitrici. È merito di quell'intuizione di un secolo fa se ancora oggi le carte del Tci danno un'idea del territorio infinitamente migliore rispetto alle carte francesi o tedesche, che lasciano un po' in ombra l'ossatura fisica del mondo. Coniugano straordinariamente informazione e immaginazione.

Oggi è tutto finito, il paese ha perduto se stesso, assiste senza fare una piega all'eclissi del territorio. Le carte scompaiono, mentre in Francia o in Germania sono vendute nelle edicole, studiate a scuola e nelle università. Ma c'è chi non molla, e io sono tra questi. Continuo a viaggiare con le vecchie carte. Non per snobismo démodé, ma semplicemente perché le mappe di mio padre contengono più informazioni di quelle di oggi. Hanno più nomi. E sono così belle che mi è capitato più volte di perdermi un paesaggio vero perché troppo intento a esplorare quello virtuale sulla carta targata Touring. Ecco, se ha un difetto, la mappa centenaria, è quello di incantarti al punto da toglierti, talvolta, proprio la voglia di viaggiare.

 

Savona, dagli anni '10 agli anni '70

Carta TCI 1:250.000

Un piccolo riquadro ad elevata risoluzione presenta la carta al 250.000 (si veda l'album delle mappe a fine pagina per più dettagli). La morfologia naturale era restituita con i tratteggi marroni, ma il 250.000 era addirittura completo di isoipse, di cui a bordo mappa si richiamavano le quote. Sempre sul bordo comparivano latitudine e longitudine, suddivise in primi di grado (il 20' fa riferimento alla latitudine di 44°20' Nord): tutti segni evidenti della derivazione "militare" della mappa. Vale la pena ricordare che il riquadro illustrato ha dimensioni reali di appena 3,8 x 2,9 cm (400 DPI).

Carta TCI 1:200.000, edizione 1940 circa

Con il 200.000 si sceglie una significativa semplificazione della mappa: spariscono le isoipse, così come latitudine e longitudine, e il rilievo viene reso con un'ombreggiatura più tenue; i caratteri diventano senza grazie e la scala aumenta: tutto concorre a migliorare nettamente la leggibilità della mappa, anche a prezzo della scomparsa di un discreto numero di toponimi (Capo, Cassisi, Ferrari, Sarda, M. Cucco, Madonna degli Angeli, solo nel piccolo riquadro illustrato!).

Carta TCI 1:200.000, edizione 1964

Nel dopoguerra vengono rivisti i colori delle strade, arrivando molto vicini al look attuale, che molti lettori troveranno familiare. Nonostante la comparsa delle autostrade e di altri nuovi elementi, è tuttavia evidente che la base cartografica resta la stessa, fino al livello dei dettagli.

Atlante TCI 1:200.000, edizione 1969

Nel 1969 esce la prima edizione della carta sotto forma di atlante rilegato e, con le autostrade nere, l'aspetto è quello definitivo. A titolo di curiosità, i più attenti avranno notato una buffa incertezza nel corso degli anni sulla grafia di Albis(s)ola: in realtà la versione oggi riconosciuta corretta è Albissola con due "s" per il comune "Marina" e Albisola con una sola "s" per "Superiore".

 


 

L'album delle mappe   (15 immagini)
Maps and Comparisons

4/2014

Le copertine e un esempio: la zona di Genova in 7 edizioni dal 250.000 degli anni '10 all'edizione 1987
Evolution of classic italian Touring Club map (1:200.000) in 1910-1990.
15 foto.

 


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