Le ferrovie italiane oggi: i 10 problemi
Italian Railways Today: 10 Greatest Issues

Scritto a novembre 2007

Prologo
Ferrovia del Monte Generoso. Canton Ticino, Svizzera.


La signorina che vedete sul predellino è la macchinista del treno del Monte Generoso. Controlla da sola di poter partire, chiude le porte e dà il via. Quando è al capolinea apre la biglietteria, cambia cappello e fa i biglietti per tutte le destinazioni svizzere, e anche per Milano grazie a un'apposita convenzione.
Se nessuno chiede biglietti, dà informazioni turistiche sulla zona e vende le cartine dei sentieri di montagna. Se proprio non ha nulla da fare, aiuta le persone più anziane a salire.
Dietro al treno c'è agganciato il carrellino per portare le biciclette; non si vede, ma fidatevi che c'è. La signorina, non contenta, carica e scarica le biciclette degli avventurosi che poi scendono a Lanzo d'Intelvi.
Insomma, la signorina è l'unica persona che tiene aperta la ferrovia del Monte Generoso alla domenica.
Così la ferrovia del Monte Generoso è aperta anche di domenica.
Fa un po' effetto vedere una ragazza di 25 anni con così tanto potere, no?

Ah, se ci fate caso, sotto al predellino del treno c'è un bel salto. Allora la signorina tira fuori un gradino di ferro che mette sotto al predellino per far scendere la gente. Questi svizzeri sono proprio strani: mettono un pezzo di ferro sotto al predellino del treno invece che rialzare i marciapiedi per centinaia di metri...

 

Non tutte le ferrovie sono paragonabili a quella del Monte Generoso, lo so bene. Però... però... quando l'amministratore delegato di FS dichiara un "buco" di 1700 ml Euro (fine 2006), viene facilmente il dubbio che qualche pezzo di ferrovia sia stato gestito in modo non proprio efficiente, magari perché così faceva comodo a molti.
E allora non ho potuto fare a meno di introdurre l'articolo con questo prologo, volutamente provocatorio. I punti che seguono, però, sono tutti molto seri. E anche un po' più tristi.
Li ho elencati di proposito senza suddividerli tra Gestore dell'infrastruttura e Impresa ferroviaria, secondo il modo di ragionare di oggi. Questa volta voglio considerare la ferrovia come un tutt'uno, in cui i problemi di una parte sono anche i problemi dell'altra. Ciascun lettore non farà poi fatica a ritrovare responsabilità ed errori. E, mi auguro, anche soluzioni.


Contenuto

In questa prima parte:

Nella seconda parte:

Per chi lo desiderasse, il testo dell'intero articolo è disponibile anche in un unico documento Word: vedi il materiale di riferimento a fine pagina.


1. L'infrastruttura è stretta tra progetti faraonici e mancanza di interventi puntuali realmente utili alla circolazione

L'articolo storico sui 100 anni delle FS si concludeva con uno sguardo al presente e non poteva fare a meno di osservare come il doveroso processo di modernizzazione e automazione della rete, a partire dai primi anni Novanta, si sia tramutato in un impoverimento generalizzato dell'infrastruttura ferroviaria.

All'incirca nello stesso periodo in cui si sono investiti almeno 15 miliardi di Euro nella creazione di una nuova rete ad alta velocità, sulle linee esistenti si è teorizzato e messo in pratica il principio della cosiddetta rete snella: un amaro eufemismo, secondo il quale una ferrovia senza stazioni, senza scambi, senza "binari di troppo" si gestisce più agevolmente - appunto in modo più snello - di una tradizionale, con tutti i suoi binari al loro posto. In realtà è vero proprio l'opposto: la rete snella è una ferrovia ingessata, incapace di assorbire le perturbazioni, che offre una capacità inferiore e che va in crisi di fronte alle punte di traffico.

Va anche detto che gestire una ferrovia ad alta velocità, percorsa da treni tutti uguali, pressoché senza fermate intermedie, è enormemente più facile che non gestire una linea tradizionale, fatta di treni che marciano a velocità diverse, deviano su altre linee, si fermano in continuazione, percorrono tratte a semplice binario. E allora è quanto meno singolare che mentre si costruivano ferrovie costose ma "facili" si sia fatto così poco per migliorare realmente la gestione di ferrovie molto più "difficili".

Ci è dunque parso logico cominciare il nostro elenco partendo dall'infrastruttura, con un'ultima precisazione: crediamo che il problema principale non sia non aver investito a sufficienza sulla rete tradizionale. Anzi, forse è vero proprio l'opposto: l'infrastruttura ferroviaria ha comunque attirato un quantitativo ingente di risorse. E tuttavia siamo convinti che le cose sbagliate che sono state fatte alla ferrovia non siano costate meno di quelle giuste che si sarebbero dovute fare. Anzi: probabilmente con gli stessi soldi si poteva ottenere di meglio. In alcuni casi il meglio si poteva ottenere persino con meno soldi. Questo sarà un po' il motivo conduttore di tutto il nostro racconto, tanto che l'ultimo dei nostri dieci problemi sarà proprio incentrato sull'uso intelligente delle risorse.

Una rete snella o una rete impoverita?

Fig. 1.1 - Stazioni senza binari di precedenza

Stazione di Albisola, tra Genova e Savona: ci sono ancora quattro binari come nel 1977, quando venne inaugurata. Ma sui due esterni si nota l'assenza dei fili: questi due binari infatti sono stati "tagliati", cioè resi inservibili, per risparmiare sulla manutenzione degli scambi e degli apparati di stazione, e ad Albisola non è più possibile effettuare precedenze, ma solo transitare o fermarsi e ripartire.

In modo analogo, sulla litoranea ligure, sono stati soppressi i binari di non di corsa di Arenzano, Pieve Ligure, Camogli, Rapallo, Lavagna, Moneglia, Riomaggiore; a Varazze e Spotorno esistono ancora ma sono di norma disabilitati (richiederebbero il presenziamento della stazione, anziché il telecomando). Tra Genova e Savona si effettuano precedenze solo a Sestri e Cogoleto: una situazione sicuramente non ottimale per una linea che viene percorsa in meno di 30 minuti senza fermate intermedie e in ben 65 se ci si ferma in tutte le stazioni.

Che un taglio drastico venisse fatto sulle linee secondarie, possiamo anche capirlo (anche se, così drastico, non lo condividiamo del tutto). Quello che però ci appare veramente difficile da giustificare è che gli stessi principi siano stati poi applicati anche alla rete fondamentale.

Fig. 1.2 - Stazioni senza binari di incrocio

Borgio Verezzi (SV), sulla tratta a binario semplice a ponente di Finale. Anche qui si è rimosso un binario, ma la situazione è molto più critica, perché il secondo binario, su una tratta a binario semplice, non serve per le precedenze, ma per gli incroci, enormemente più frequenti. La rimozione del binario di incrocio a Laigueglia (1994) e qui a Borgio (1997) non ha certo favorito la gestione di questa difficile e trafficata linea.

Ad esempio era prassi comune, in caso di ritardo del treno da Ventimiglia, con incrocio d'orario a Finale, "mandare avanti" fino a Borgio il treno da Genova. Oggi il treno da Genova rimane fermo ad aspettare a Finale, e di conseguenza affronta in ritardo la tratta a binario unico, cioè proprio quella in cui sarebbe più importante essere puntuali! Analogo discorso vale per gli incroci di Alassio non più spostabili a Laigueglia. Quante delle motivazioni a favore del costosissimo raddoppio della linea sono legate all'incapacità di gestire in maniera efficiente gli incroci?

Fig. 1.3 - Stazioni senza sottopasso

Un'ulteriore complicazione si ha nelle stazioni ancora prive di sottopasso. Su linee a doppio binario il regolamento prevede infatti che non si possa dare via libera a un treno in transito sul primo binario, se nello stesso momento un altro treno deve fermarsi sul secondo. Infatti il treno in transito sarebbe un potenziale pericolo per i viaggiatori che devono attraversare i binari per recarsi sul secondo marciapiede. Di fatto è come se in corrispondenza delle stazioni senza sottopasso la linea avesse un binario solo, dato due treni non vi sono ammessi contemporaneamente.

E' evidente che la realizzazione dei sottopassi sia una priorità da gestire oculatamente. Temiamo invece che un'analisi di dettaglio porterebbe a spiacevoli sorprese... Citiamo ad esempio stazioni come Seregno (2500 viaggiatori al giorno) dove il sottopasso è stato inaugurato soltanto nel 2007, dopo anni di attese, e, all'estremo opposto, Stazzano (AL), in cui il servizio viaggiatori è stato soppresso pochi anni dopo aver realizzato un (faraonico) sottopasso tutto nuovo.

In realtà il tema dei sottopassi finisce per interagire con quello della rete snella: sono numerosi i casi in cui si ricava lo spazio per il sottopasso - cioè per un marciapiede più ampio - sacrificando il binario di precedenza. In fotografia a Vanzago-Pogliano, sulla linea Milano-Domodossola, il sottopasso (finalmente) attivato nel 2006 ha comportato la perdita del secondo binario, di cui si vedono i resti sullo sfondo.

Si tratta evidentemente di un compromesso, in cui la pur doverosa realizzazione dei sottopassi migliora da un lato la circolazione, ma finisce per peggiorarla dall'altro, aumentando ulteriormente il numero di stazioni prive di qualunque binario aggiuntivo, oltre a quelli di corsa. Era davvero sempre impossibile ottenere sia il sottopasso, sia il terzo binario di precedenza?

 

Schemi di stazione: lezioni di buona ferrovia da un manuale del 1955

Fig. 1.4 - La diramazione semplice

Un manuale destinato ai modellisti tedeschi e datato addirittura 1955 (Die Märklin-Bahn H0 und ihr grosses Vorbild) illustra con estrema chiarezza i tipici problemi dei conflitti di circolazione in caso di bivi e intersezioni fra linee. In questo primo caso, è evidente che il treno da C per A "taglia" l'itinerario AB, cioè interferisce con un treno che vada appunto da A a B (il disegno prevede la marcia a destra, come si usa in Germania).

Fig. 1.5 - La diramazione senza tagli

Se si vuole evitare il taglio della figura precedente, è necessario trasformare il bivio a raso in uno "scavalco", in perfetta analogia con quanto avviene negli svincoli autostradali. In gergo lo scavalco è a volte definito come salto di montone.

Non si può far a meno di notare che se questa figura era già presente in un testo amatoriale del 1955, tali realizzazioni appartenevano a una cultura già consolidata nella Germania del tempo. In Italia i primi veri bivi non a raso sono stati realizzati sulla Direttissima Firenze-Roma, aperta a partire dal 1977 e ancora oggi possono considerarsi una rarità.

Notiamo anche la corretta disposizione del deposito locomotive (loco shed) e dei binari di manovra (shunting yard), che permette di raggiungere la stazione senza interferire né con la linea di B né con quella di C: un'altra soluzione che nell'Italia del 1955 (e non solo in quella) suonava come fantascienza...

Fig. 1.6 - L'interconnessione

Con un doppio scavalco, infine, si realizza l'intersezione completa senza interferenze tra due linee. La disposizione dei binari permette anche il trasbordo sullo stesso marciapiede per le corrispondenze prevedibilmente più utilizzate (A-D e B-C).

Situazioni di questo tipo si riscontrano anche in varie stazioni italiane, dove ad oggi ci sono solo collegamenti a raso, con i le interferenze che ne conseguono. Tra le intersezioni fra due linee citiamo la Milano-Genova e la Torino-Bologna a Voghera (dove uno scavalco di questo tipo potrebbe rendere assai meno prioritario il quadruplicamento Voghera - Tortona oggi in progetto, del costo di 600 mln Euro), la Genova-Roma con la Firenze-Livorno a Pisa, la Torino-Genova con la Milano-Genova ad Arquata (che, per alcune peculiarità, sarà descritta in dettaglio poco più sotto).

Ancor più numerosi sono i bivi; limitandosi a quelli dove esistono relazioni sistematiche su entrambi i rami (di cui almeno uno ovviamente a doppio binario), citiamo: a Piacenza per Milano e Alessandria, a Treviglio per Bergamo e Brescia (anche questo dettagliato a parte), a Codogno per Cremona e Piacenza, a Fossano per Cuneo e Savona, a Empoli per Pisa e Siena, presso Pisa fra i due rami della linea di Livorno (bivio Mortellini). Altri infine si concentrano nei nodi, in genere più difficili da risolvere con scavalchi, per i limiti degli spazi urbani, ma anche molto più trafficati: uno dei più critici è senz'altro il Bivio Mirabello di Milano (da Garibaldi verso Greco e Lambrate). Purtroppo non ci pare che, a fronte di tanti altri lavori sull'infrastruttura, si sia mai affrontato seriamente un "progetto interconnessioni".

 

Deviate a 30 km/h, un rallentamento ormai fuori dal tempo

Abbiamo inserito queste figure d'epoca per sottolineare come già mezzo secolo fa fossero disponibili dei criteri moderni di progettazione dell'infrastruttura, criteri che tuttavia in Italia hanno avuto seguito solo in casi molto rari. In realtà è come se, nonostante tutti gli investimenti fatti, l'infrastruttura italiana si sia "fossilizzata" su molti degli aspetti in cui si dovrebbe giocare la vera competitività di una ferrovia moderna. Uno di questi è la velocità massima sui rami deviati degli scambi.

E' evidente che aumentare la velocità ammessa sul ramo "deviato" di uno scambio richiede di ampliare il suo raggio di curvatura e quindi comporta la costruzione di uno scambio più lungo, e dunque più ingombrante. Il deviatoio tradizionale italiano è percorribile in deviata a 30 km/h. Si tratta di una velocità modestissima: rallentare un treno fino a 30 km/h significa doverlo quasi fermare e comporta un significativo perditempo, anche se lo scambio è posto in una stazione dove il treno ha fermata. Ciò nonostante, le deviate a 30 km/h costituiscono ancor oggi la norma per i binari di incrocio nella stragrande maggioranza delle linee a binario semplice e per moltissimi binari di precedenza, anche su linee principali. Inoltre tutte le stazioni principali (Milano Centrale, Genova Principe, Torino P.N., Firenze S.M.N, ecc.) sono accessibili soltanto a 30 km/h.

Addirittura, esistono stazioni di testa, relativamente modeste ma di recente costruzione, in cui si è rispettata con rigore la distanza standard di 1300 m tra segnale di protezione e stazione. Dal momento che oltre il segnale di protezione si viaggia solo a 30 km/h (e anche prima del segnale, a causa dei nuovi sistemi di sicurezza di cui tratteremo nell'approfondimento sulla sicurezza), il risultato è che arrivare in queste stazioni comporta una lentissima "passeggiata" di almeno 3 minuti, che comincia ancora in aperta campagna. Citiamo il caso di Cosenza e, purtroppo, anche quello del nuovo impianto di Novara di Ferrovienord, costruito nel rispetto dei canoni RFI (sulla restante rete Ferrovienord sono in uso sezioni di blocco molto più corte e l'accesso alla vecchia stazione di Novara era significativamente più rapido).

Il successivo scaglione di velocità è a 60 km/h. Un deviatoio da 60 km/h non richiede tecnologie particolarmente innovative ed è solo moderatamente più ingombrante di uno da 30 km/h (ad esempio la stazione di Milano Bovisa di Ferrovienord, pur costruita con forti vincoli di spazio, ha tutte le deviate a 60 km/h). Questo deviatoio passa quasi inavvertito - cioè non comporta perditempo - se è impegnato da un treno già in frenata per la successiva stazione, mentre è penalizzante se incontrato in un bivio in piena linea, un passaggio dal semplice al doppio binario o comunque un impianto dove il treno non ha fermata. Va purtroppo notato che queste situazioni sono del tutto ricorrenti sulla rete italiana.

Infine esiste il deviatoio da 100 km/h: esso è significativamente più lungo dei precedenti, dato che al crescere del raggio di curvatura, lo spazio tra aghi e cuore aumenta notevolmente. Anche gli aghi sono proporzionalmente più lunghi, tanto che di norma essi vengono mossi non dal normale tirante posto alla loro estremità, ma da una serie di attuatori oleodinamici intermedi. Sebbene questo renda il deviatoio da 100 km/h più costoso e delicato degli altri, il suo uso sarebbe assai vantaggioso per tutti i bivi regolarmente percorsi da treni senza fermata.

Citiamo come esempio un Intercity Milano-Ventimiglia, che incontra ben 4 deviate a 60 km/h in località dove non ha fermata: Tortona, Ronco, Genova Sampierdarena e Loano (passaggio al doppio binario), più eventuali altre deviate da 30 km/h in funzione degli incroci sulle tratte a semplice binario. Una quinta deviata ad Arquata è stata trasformata a 100 km/h solo recentemente.

Sintetizzando, si può quindi dire che servirebbe un uso generalizzato di scambi da 60 km/h dove adesso sono da 30, e da 100 dove adesso sono da 60.

L'eccessiva lentezza delle deviate non si traduce solo in minore velocità commerciale dei treni, ma anche in minore capacità dell'infrastruttura: più i treni vanno piano, più "occupano" a lungo la linea, consumando capacità a scapito di altri treni.

Infine esistono scambi per velocità ancora superiori: ad esempio 160 o 220 km/h, ma essi sono al momento inutilizzabili sulla rete italiana per il semplice fatto che il segnalamento FS non prevede un aspetto specifico per indicare un percorso deviato oltre i 100 km/h. Ad esempio la nuova interconnessione di Tavazzano, sulla cui realizzazione abbiamo già espresso qualche perplessità), ha appunto scambi di questo tipo, che però oggi continuano a essere percorsi solo a 100 km/h.

Naturalmente in occasione di lavori di ristrutturazione, RFI oggi monta deviate a 60 e non più a 30, ma si tratta di interventi sporadici e per loro natura legati ad altre logiche di priorità. E' invece finora mancato - né appare all'orizzonte - un piano straordinario di velocizzazione delle deviate, sistematico, generalizzato e gerarchico: il solo che sarebbe in grado di portare a un miglioramento sostanziale della rete in tempi certi. Siamo convinti che una singola deviata veloce, messa al punto giusto, varrebbe molto più di tanti altri costosi interventi attuati in questi anni, ma su questo aspetto torneremo al punto 10.


 

Stazioni, nodi, interconnessioni: dove si potrebbe migliorare

Fig. 1.7 - Scegliere il percorso deviato /1

Il nodo di Rho, alle porte di Milano, è gravato da un traffico intenso: almeno 310 treni viaggiatori al giorno, più tutto il servizio merci. I 27 Intercity/Eurostar Milano-Torino senza fermata a Rho transitano sui binari 4 e 5 sprovvisti di marciapiede e non hanno problemi. Un'analisi attenta mostra però che per tutti gli altri treni c'è qualcosa che non va.

Gli Interregionali Milano-Torino, con fermata a Rho, sono costretti a utilizzare i binari 3 e 6, accessibili solo con deviate da 30 km/h: una situazione che si ripete 38 volte al giorno, dal 1985 a oggi. In tutti questi anni, era davvero così impossibile installare scambi da 60 km/h?

Per come sono disposti gli scambi, tutti i treni per e dalla linea di Domodossola/Varese/Luino devono percorrere una deviata a 60 km/h, sia che vadano verso Milano Centrale, sia che vadano verso Milano P.Garibaldi. Questa deviata, posta a ben 2 km dalla stazione, obbliga di fatto a percorrere a 60 km/h tutti questi 2 km, con notevole perditempo: basterebbe "girare" la prima coppia di scambi per garantire il corretto tracciato alla relazione Domodossola-Garibaldi, di gran lunga la più utilizzata (74 S5 e 31 diretti per Varese, più altri 39 treni fuori cadenza).

In questa situazione, già sufficientemente critica, nel dicembre 2004 si è inserita la S6 Milano Passante - Novara che 70 volte al giorno doveva passare dai binari di Porta Garibaldi a quelli per Torino, ovviamente con deviate da 30 km/h. La puntualità della S6, inizialmente pessima, ha fatto esplodere la situazione e dopo un anno e mezzo, nell'estate del 2006, si sono finalmente posati nuovi scambi da 60 km/h che permettono di passare dai binari 1 e 2 alla linea di Torino. Ma tutti gli altri problemi di Rho sono ancora in attesa di soluzione.

Fig. 1.8 - Scegliere il percorso deviato /2

Come è noto, in qualsiasi bivio ferroviario, solo un itinerario può essere percorso alla massima velocità (itinerario di corretto tracciato) mentre l'altro viene necessariamente percorso a velocità ridotta (itinerario in deviata a 30, 60 o 100 km/h). La scelta di quale sia l'itinerario da porre in corretto tracciato dovrebbe essere legata al numero di treni che percorrono i due rami del bivio. Ma forse a volte questa regola è stata disattesa.

Intorno al 2000 è stato realizzato il quadruplicamento Milano Lambrate - Pioltello, sulla linea per Venezia. La linea "veloce" è quella a sud ed è utilizzata in massima parte da treni che non fermano a Pioltello (Intercity, Interregionali, alcuni regionali); l'altra linea, cosiddetta "lenta", dal 2004 è utilizzata prioritariamente per i treni suburbani S5 dal Passante e per qualche altro treno che ferma a Pioltello.

Già nel 2000 si sapeva che la linea veloce sarebbe poi proseguita verso Treviglio; si è quindi realizzato un collegamento "temporaneo" tra la linea veloce e la vecchia linea, con una deviata a 60 km/h. Ma la tratta fino a Treviglio è stata attivata solo nel luglio 2007. Questo significa che per circa 7 anni tutti i treni che hanno utilizzato la linea veloce - e che in maggioranza non fermano a Pioltello - sono stati costretti a percorrere quella deviata. Ogni giorno, 88 treni (48 Intercity e 40 regionali e IR) hanno dovuto rallentare da circa 130 a 60 km/h per percorrere il bivio di Pioltello. Non era forse meglio collegare "temporaneamente" in corretto tracciato la linea veloce?

Fig. 1.9 - Scegliere il percorso deviato /3

Vista l'esperienza di Pioltello (disegno precedente) si sarebbe forse dovuta imparare la lezione. E' con una certa sorpresa che abbiamo scoperto che la stazione di Treviglio, quasi interamente rifatta a luglio 2007 con l'apertura della nuova linea veloce da Milano, presenta esattamente la stessa configurazione di Pioltello. La linea veloce termina con una deviata a 60 km/h. Qui fortunatamente tutti i treni Interregionali effettuano fermata e quindi la deviata è (quasi) inavvertita. Ma tutti gli Intercity, Eurostar City e i nuovissimi Eurostar che fanno Milano-Padova senza fermate intermedie(!) sono costretti a rallentare da 150 a 60 km/h per passare da Treviglio.

In mancanza di modifiche al piano binari, tutto questo durerà fino all'apertura della nuova linea ad Alta Velocità Treviglio-Verona, la cui costruzione non è nemmeno incominciata, e i cui tempi di realizzazione, visto il costo di oltre 2000 milioni di Euro, sono quanto mai incerti.

Aggiornamento 2/2008 - Una curiosa sorpresa: questo esempio è stato ripreso pari pari in una rubrica della giornalista Milena Gabanelli, pubblicata sulla rivista Io Donna del 9 febbraio 2008, argomento tecnico forse un po' insolito per una rivista femminile...

Fig. 1.10 - Scegliere l'interconnessione /1

Una tipica stazione ricca di conflitti tra itinerari diversi è quella di Arquata Scrivia, dove confluiscono le linee da Milano e Torino e si dipartono la linea veloce per Genova (o "Succursale dei Giovi") e la vecchia linea via Isola e Busalla, oggi utilizzata dai servizi regionali.

Negli anni Ottanta la disponibilità di 4 binari fra Arquata e Ronco (10 km) fece venire a qualcuno l'idea di "specializzare" in una singola direzione ciascuna coppia di binari. Se ben ricordiamo, la linea via Isola doveva servire ai treni verso Genova e la linea diretta a quelli verso nord.

Fig. 1.11 - Scegliere l'interconnessione /2

In circa 5 anni di lavori, tra il 1990 e il 1995, venne dunque costruita un'apposita interconnessione, con adeguato scavalco per evitare i tagli a raso tra itinerari diversi, e persino una completa dotazione di scambi a 100 km/h, allora una rarità sulle linee tradizionali (e ancora oggi, in verità...).

Ma la marcia parallela che si era ipotizzata era una cosa particolarmente anomala nel panorama italiano, per di più complicata dal fatto che sulla linea vecchia dovevano comunque continuare a circolare in entrambe le direzioni i treni regionali con fermata a Isola. Inoltre nessuno scavalco era previsto a Ronco e quindi il problema dei tagli veniva semplicemente "traslato" da Arquata a Ronco.

Il risultato è stato che la marcia parallela non è mai stata utilizzata, come chiunque dotato di buon senso avrebbe potuto prevedere fin dall'origine. Di conseguenza l'intera interconnessione, prevista per la marcia parallela, si è rivelata sostanzialmente inutilizzabile per risolvere i conflitti di circolazione tra gli itinerari normali.

In Italia, le interconnessioni con scavalco sono pressoché inesistenti al di fuori della Direttissima Firenze-Roma e delle nuove linee AV. Anche i bivi con scambi a 100 km/h sono più che una rarità. Disporre di un'infrastruttura con entrambe queste caratteristiche, ma di fatto inutile, non è certo cosa di cui andare fieri.

Fig. 1.12 - Scegliere l'interconnessione /3

Dal 1995 al 2007 il piano binari di Arquata è stato continuamente fatto e rifatto: non ricordiamo anno in cui non ci fossero lavori in corso. Solo in tempi recenti, una qualche modifica ha permesso almeno di percorrere a 100 km/h l'itinerario Genova -> Milano (in precedenza tutti gli itinerari tra Milano e Genova comprendevano deviate da 60 km/h). Tuttavia è evidente che la vera interconnessione risolutiva, di cui si danno due possibili versioni in figura, è rimasta un'idea irrealizzata.

 


Una situazione di continui "lavori in corso" non si è naturalmente verificata solo ad Arquata. Il Passante ferroviario di Milano, incominciato nel 1982 e che verrà terminato nel 2008 è certo uno degli esempi più conosciuti. Vi è però una questione importante, che andrebbe sottolineata all'interno di lavori a lungo termine: una corretta priorità delle singole fasi costruttive.

Prendiamo il caso della stazione di Milano Rogoredo, appunto interessata dai lavori del Passante, e anche da altri, come il quadruplicamento verso Melegnano (linea di Bologna). Questa stazione è nata a 4 binari: due per Genova e due per Bologna. Intorno al 1990 il vecchio fabbricato viaggiatori venne demolito e sostituito da uno nuovo, che creava lo spazio per realizzare 8 binari.

Rogoredo rappresenta un rilevante "collo di bottiglia" perché vi convergono 6 binari da nord e, dal 1997 - attivato il citato quadruplicamento - anche 6 da sud. E' una situazione molto simile a quella di Milano Bovisa delle Ferrovienord, anch'essa nata in origine a 4 binari e su cui, parimenti, convergono 6 binari, contando il quadruplicamento per Saronno. Mentre una nuova stazione di Bovisa, a 8 binari, è stata inaugurata nell'ormai lontano 1991, a Rogoredo, ancora a metà 2007 vale a dire ben diciassette anni dopo aver creato lo spazio per aumentarne il numero, i binari sono ancora quattro.

Di fatto è stata privilegiata la scelta di aggiungere i nuovi binari solo nelle fasi finali del lavoro, insieme al completamento del Passante e degli "scavalchi" definitivi lato sud, scavalchi estremamente impegnativi e la cui realizzazione si è appunto protratta molto in là nel tempo.

Siamo convinti che disporre di una stazione a 8 binari, sia pure provvisoria, sia pure non ottimale e senza scavalchi, avrebbe dovuto rappresentare una priorità assoluta in tutti questi anni. Quanti ritardi, quante interferenze tra treni, quante attese al segnale sono stati causati dalla mancanza dei binari aggiuntivi che si sarebbero potuti installare dal 1990?


L'interconnessione di Treviglio (Bivio Bergamo): qualcosa non va?

Per non appesantire questo già lungo articolo, abbiamo descritto a parte l'interconnessione di Treviglio, un caso complesso che merita un approfondimento a sé.

Leggi il dettaglio.


 

Nemmeno più un binario per fare capolinea!

Fig. 1.13 - Stazione di Besana (MI), settembre 2007

Se si consultano gli orari ferroviari degli anni '80, si trovano treni che facevano capolinea anche in numerose piccole stazioni. Ad esempio in Liguria alcuni treni partivano da Arenzano o Camogli: località che, come abbiamo appena visto, oggi hanno del tutto perduto i loro binari di precedenza, indispensabili anche per iniziare o terminare la corsa. Naturalmente riteniamo che una situazione ordinata di treni tutti uguali sia preferibile a questi vecchi capolinea sparsi, tuttavia oggi ci si trova sempre più in difficoltà quando si ha bisogno di individuare una nuova stazione capolinea.

In fotografia vediamo il nuovo marciapiede di Besana, linea Monza-Molteno-Lecco, appena completato. Il marciapiede è stato ottenuto "tagliando" lo scambio che si intravede a sinistra e quindi rendendo inservibili tutti i binari del vecchio scalo merci, ormai inutilizzato: un intervento fatto senz'altro in economia. Ma è stato anche un intervento oculato? Vediamo la cartina della figura seguente.

Fig. 1.14 - Besana nel sistema delle Linee S di Milano

In realtà nei programmi del Servizio Ferroviario Regionale della Lombardia, la stazione di Besana è stata scelta come capolinea della linea suburbana S7. In pratica, rispetto al servizio attuale a cadenza oraria, nelle fasce di morbida verrebbero aggiunte delle corse di rinforzo Milano-Besana in modo da avere frequenza di 30 minuti nelle stazioni più vicine a Milano (nella punta la frequenza è già oggi superiore a 30' sull'intera linea). Questo modello di servizio è previsto dal Programma Triennale dei Servizi 2004-2006 e alla Delibera regionale istitutiva del Servizio Suburbano, oltre a essere coerente con gli intenti del "Protocollo Brianza", sottoscritto da FS e da tutti i comuni della zona, già il 13 febbraio 2001.

In passato queste corse Milano-Besana non erano state attivate perché avrebbero interferito con le manovre dello sporadico merci Molteno-Besana. Ormai il merci è stato definitivamente soppresso, e quindi non ci sarebbero più ostacoli. Ma di che cosa aveva bisogno il capolinea di Besana? Proprio di quel binario che si vede sullo sfondo della foto precedente, e che oggi è stato tagliato!

Senza un tale binario di ricovero, il treno fermo al capolinea sarebbe costretto a occupare il binario di incrocio: una situazione senz'altro più critica, dato che il treno in sosta impedirebbe ogni altro possibile incrocio. Ecco dunque che un intervento di potenziamento del servizio, che poteva ragionevolmente farsi "in economia", diventa più difficile a causa di un altro intervento, anch'esso fatto in economia, ma orientato all'opposto, al depotenziamento dell'infrastruttura.

 


Un'infrastruttura inadeguata è però anche quella che, quando costruisce qualcosa di nuovo, non riesce in realtà ad essere innovativa: ancora una volta sembra che la ferrovia non progetti per il viaggiatore, ma solo per sé stessa (ricordate lo slogan "muovere persone, non treni"?).

Come non pensare che questo sia il campo in cui si gioca l'amicizia - o l'inimicizia - tra la ferrovia e i cittadini? Come non pensare che questo sia il motivo per cui così spesso e così in fretta si parla di dismettere binari, di "riqualificare" aree ferroviarie? Proprio su tali aspetti si concentrano gli esempi che seguono.

Ferrovie e stazioni, flussi e barriere

Fig. 1.15 - Permeabilità svizzera

Una piccola stazione svizzera, qui nei pressi di Zugo. Qualcuno può immaginare una "permeabilità" tra il treno e la città, migliore di questa? Il marciapiede del treno è il marciapiede del bus; tra la strada e il binario non c'è nulla se non un gradino; la città comincia lì dietro.

Fig. 1.16 - Cancellate italiane

Questa è una delle ultime inaugurazioni italiane: la nuova stazione di Palazzolo Milanese, di Ferrovienord (2007). Due metri di recinzione "proteggono" la stazione su ogni suo lato. I viaggiatori devono utilizzare pochi passaggi obbligati. La sensazione non può che essere quella di una cesura tra la ferrovia e la città. Poi ci si domanda come mai il binario sia considerato un fastidio da interrare...

Fig. 1.17 - Zurigo: stazione dentro la città

Un esempio più grande? La stazione centrale di Zurigo. Binario, marciapiede, pista ciclabile, carreggiata automobilistica, linea tranviaria: non c'è nemmeno un gradino. Paure di vandalismi e insicurezza? Zurigo non sarà una città ad alto tasso criminale, ma non è nemmeno un villaggetto alpino...

Fig. 1.18 - Milano Villapizzone: stazione che taglia la città

Altra realizzazione recente italiana: Milano Villapizzone, prima stazione in superficie del Passante, aperta nel 2002. Nonostante sia appunto in superficie, è stata progettata in tutto e per tutto come una stazione sotterranea: si entra soltanto da un unico sottopasso centrale (in fondo a sinistra, fuori dall'inquadratura).

Sarebbe bastato un ingresso secondario sul primo binario per far risparmiare un lungo giro almeno ai viaggiatori diretti a Gallarate e Novara (che partono appunto da quel binario). Invece anche qui la percezione è quella di una barriera impenetrabile. Anche una semplice passerella pedonale - molto più gradevole di un lungo sottopasso - avrebbe contribuito a ridurre la cesura tra l'area residenziale a sud della linea e la nuova area universitaria a nord.

Fig. 1.19 - Monza: è bastato un sottopasso

Concludiamo con un controesempio positivo: a Monza, nel 2006 è stato finalmente inaugurata la comunicazione "passante" del sottopasso, che permette l'ingresso in stazione dal lato est. In fotografia, l'interessante passaggio attraverso il vecchio magazzino merci, in disuso da anni e restaurato per l'occasione.

In mancanza di questo utile intervento, fortemente voluto dal Comune di Monza, un'intera fetta della città era costretta a un allungamento di strada di oltre 500 m per accedere alla stazione. In quanti altri casi l'assenza di un piccolo intervento determina una grande barriera, per la città e per lo stesso utilizzo della ferrovia?

 

Passaggi a livello:

Fig. 1.20 - Pietra Ligure (SV)

E' indubbio che la rete italiana sia segnata da un gran numero di passaggi a livello. Ma sopprimerli è particolarmente costoso (un manufatto stradale di scavalco costa circa 3 mln Euro), oltre che in molti casi anche urbanisticamente poco proponibile.

Una larga parte dei passaggi a livello italiani, tra cui tutti quelli della ferrovia ligure, risulta "protetta" da un segnale. In altre parole la chiusura del passaggio a livello è condizione necessaria per poter disporre al verde quel segnale (vedi schema sottostante). Questo approccio garantisce la massima sicurezza ma presenta tempi di chiusura particolarmente lunghi, necessariamente superiori al tempo per cui il segnale resta verde. Spostando lievemente il compromesso tra sicurezza ed efficienza del sistema (vedi una riflessione in proposito) sarebbe possibile realizzare passaggi a livello con tempi di chiusura assai inferiori.

Siamo convinti che un mix di tempi di chiusura più veloci e di snelle ed economiche passerelle pedonali potrebbe rendere assai più "permeabile" la barriera rappresentata dalla ferrovia, soprattutto nei casi in cui il flusso è prevalentemente pedonale, come nell'esempio ligure della foto. Questo permetterebbe di non sopprimere il passaggio a livello, ma semplicemente di ridurre il numero di utilizzatori e quindi la sua criticità.

Senza un approccio di questo tipo, si continuerà a proporre solo la drastica alternativa tra il passaggio a livello e la sua completa (e costosa) soppressione: un approccio che fa percepire la ferrovia come "un fastidio da allontanare" e finisce per alimentare opinioni favorevoli a interramenti e altre soluzioni irrealizzabili o perniciose.

  • Il PL1 deve essere chiuso per poter aprire il segnale di partenza 2 (treno A-B) oppure il segnale di protezione 2 (treno B-A).
  • Il PL2 deve essere chiuso per poter aprire il segnale di partenza 2 (treno A-B) oppure il segnale di partenza 3 (treno B-A); in questo caso si ha il massimo tempo di chiusura, dato che la distanza tra segnale e PL può essere notevole.
  • Anche in caso di transito senza fermata il tempo di chiusura aumenta: se il treno A-B transita in A, i PL vanno chiusi all'apertura (circa contemporanea) del segnale di protezione 1 e partenza 2.

 

Un patrimonio in svendita

Fig. 1.21 - Aree dismesse a Milano?

All'interno del comune di Milano esiste oggi un certo numero di aree ferroviarie in disuso; nel 2007 è stato firmato un importante accordo tra FS e il Comune di Milano con il quale tutte queste aree vengono cedute al Comune. In cambio, il Comune reinveste in nuove opere ferroviarie i proventi ottenuti dall'edificazione di queste aree, che hanno evidentemente un forte valore immobiliare. Quali siano queste nuove opere ferroviarie non risulta ancora ben chiaro: si parla spesso di un secondo Passante, dal tracciato ancora non definito, quando forse, anziché pensare al secondo Passante, sarebbe prioritario riuscire a far funzionare bene il primo...

Ma quali sono le aree da cedere, e soprattutto sono davvero tutte in disuso?Alcune, come lo scalo di Porta Romana e quello di San Cristoforo erano legate a servizi merci scomparsi ormai da anni, e quindi sono effettivamente inutilizzate. Ma su due in particolare la situazione è più critica: il piano di dismissione comprende infatti l'intero Scalo Farini. Come però è evidenziato dalla foto aerea di Google Maps, non tutte le aree sono oggi inutilizzate!

Effettivamente esistono grandi aeree disponibili e riqualificabili e anche l'area manutenzione può essere delocalizzata. Ma il deposito locomotive di Milano S.Rocco costituisce un cardine dell'attuale servizio ferroviario lombardo; esso è stato appena rinnovato (2004) e dotato di nuove attrezzature di pregio, come il tornio in fossa. La delocalizzazione del deposito (e dei relativi fasci di sosta), necessariamente lontano dalla stazione Garibaldi, è svantaggiosa per l'esercizio e imporrebbe continui e onerosi percorsi a vuoto. Fare tabula rasa dell'intera area, come sembra previsto, sarebbe un grande affare immobiliare, ma difficilmente un vantaggio per la ferrovia.

Tra l'altro la disponibilità di due soli binari tra Garibaldi e Certosa è già oggi critica. In futuro (vedi schema) si prevedono ulteriori attestamenti a Garibaldi da Lambrate via Villapizzone nonché a Certosa da Greco, e anche il collegamento Centrale-Malpensa graverà su questa tratta. Di conseguenza sarebbe senz'altro opportuno che, se proprio si deve dismettere l'area, almeno si realizzino due nuovi binari tra Garibaldi e Certosa/Bivio Musocco e ulteriori due binari indipendenti tra Garibaldi e Bovisa. Qualcuno li realizzerà?

L'altra situazione critica, invero una battaglia praticamente persa, è la stazione di Porta Genova, che serve solo la linea di Mortara ma ha anche il pregio di essere la stazione FS più vicina al Duomo. Ovviamente il valore immobiliare di quest'area è notevole, e, grazie alla nuova fermata di Romolo (attivata nel 2006) e a nuovi binari di sosta in costruzione a Rogoredo, già dal 2008 sarà possibile chiudere Porta Genova. Mentre oggi Porta Genova è a distanza pedonale dal centro di Milano, a Romolo o a Rogoredo sarà pressoché inevitabile prendere la metropolitana: una situazione senz'altro meno invitante per il viaggiatore. In realtà siamo convinti che il mantenimento di due-tre binari a Porta Genova fosse compatibile con il riutilizzo delle ampie aree comunque recuperabili. Ma si vuol mettere l'appeal di chiudere una stazione "vecchia e inadeguata" per costruire palazzi e centri commerciali?

 

Non possiamo concludere senza fare almeno un cenno a un nuovo fenomeno, apparso da pochi anni, ma che sta già dilagando: le barriere antirumore, che ormai accompagnano in misura massiccia pressoché tutte le nuove realizzazioni o i potenziamenti. Si tratta ovviamente di interventi estremamente costosi che, salvo singoli casi molto particolari, potrebbero essere semplicemente evitati, o quanto meno realizzati in maniera molto meno pesante (ad esempio con un'altezza minore della barriera, visto che la maggior parte del rumore ferroviario si produce all'altezza delle ruote). Tra l'altro è parere personale di chi scrive che questo diluvio di barriere sia orrendo non solo per il viaggiatore, ma anche per gli stessi cittadini che le rivendicano e che si ritrovano davanti a casa una muraglia insormontabile, molto peggiore del presunto disagio che la sua assenza comporterebbe.

Per un approfondimento su tutti questi aspetti, che ci paiono così fuorvianti per la ferrovia contemporanea, rimandiamo al racconto per immagini Ferrovia o galleria.


2. La progettazione degli orari è priva di un quadro strategico e presenta sempre più spesso vistose carenze puntuali

La ferrovia è l'orario dei treni. La progettazione dell'orario rappresenta il passaggio fondamentale in cui si gioca la competitività del treno rispetto all'automobile. Abbiamo già dedicato un vasto articolo alla progettazione degli orari "cadenzati e integrati", cardine di una ferrovia moderna e competitiva. Dobbiamo ora mostrare con preoccupazione alcuni casi, sempre più numerosi, in cui qualcosa non va. Necessariamente, si tratta di analisi di dettaglio, ma è la somma di tanti dettagli che compone l'insieme di cui siamo preoccupati! La lettura di un orario grafico, cui faremo spesso ricorso, è spiegata nel relativo articolo.

Un orario casuale?

Fig. 2.1 - Relazione Albenga-Savona-Genova

Apriamo l'orario ferroviario, una pagina a caso, un'ora a caso (sì, proprio così, nulla di preconcetto: questo esempio l'ho davvero scoperto in modo del tutto casuale, due giorni prima di scrivere queste note).

A metà mattina chi volesse andare da Albenga verso Genova nei giorni feriali troverebbe un treno senza trasbordo che però, forse per qualche motivo tecnico, sosta ben 17 minuti a Savona. Nei giorni festivi questo stesso treno ha origine da Savona; un altro treno copre la tratta Albenga-Savona, quasi con lo stesso orario, ma arriva a Savona due minuti dopo la partenza del treno per Genova, costringendo ad aspettare per mezzora il successivo.

Risultato: rispetto alla percorrenza teorica, nei feriali si perde un quarto d'ora in una (inspiegabile?) sosta a Savona, nei festivi si perde addirittura più di mezzora, per la scelta (altrettanto inspiegabile?) di "spezzare in due" la corsa a Savona.

Relazione Benevento-Caserta-Sulmona

Anche questa è un'esperienza reale, di un viaggio dell'aprile 2007. Nei giorni festivi la relazione Caserta-Isernia-Sulmona (che percorre tra l'altro la spettacolare trasversale appenninica abruzzese) è fattibile solo due volte al giorno, con partenza alle 9.08 e alle 16.03. Immaginate di dover partire al mattino, non da Caserta, ma da Benevento. A che ora arriva a Caserta il primo collegamento da Benevento? Alle 9.10, naturalmente, in tempo per vedere l'automotrice per Sulmona che percorre gli scambi di uscita della stazione.

Quanti viaggiatori di Benevento dovranno andare a Isernia o Sulmona? Forse pochi, forse meno di quelli che partono da Caserta. Ma visto che un treno Benevento-Caserta e un altro Caserta-Sulmona già esistono, e su quest'ultima relazione per 7 ore non ce ne sono più, non varrebbe la pena di mettere i due treni in coincidenza, cioè di far fruttare meglio le stesse risorse comunque già investite?

 

Abbiamo fatto solo due esempi, ma provate a immaginare che queste stesse situazioni si ripetano decine e decine di volte, in lungo e in largo per la ferrovia italiana, ogni giorno, quasi in ogni stazione. E quando non avvengano tra treno e treno, si ripropongano identiche tra treno e autobus. In una simile realtà, quanti viaggiatori sono costretti a non scegliere il treno? Quanti treni, sussidiati con il denaro di tutti, partono vuoti - o comunque meno pieni - perché i loro possibili viaggiatori sarebbero arrivati pochi minuti dopo?


 

Un degrado evitabile

Fig. 2.2 - Servizio festivo estivo dalla Riviera Ligure

Il treno (ex) Interregionale 1789 Ventimiglia - Milano - Bergamo si effettua nelle domeniche d'estate e non passa da Genova Principe, in modo da risparmiare il tempo per l'inversione di marcia. Un risparmio vero? Vediamo!

Il 1789 arriva a Genova Sestri alle 20.51, ed è incalzato dall'Eurocity 146 Nizza-Milano, che (se è puntuale!) si trova 4 minuti dietro di lui. In realtà le strade dei due treni si divideranno appena 3 km più in là: il 1789 girerà subito per Milano, il 146 andrà a Genova Principe. Nonostante questo, l'orario prevede che il 1789 si fermi 7 minuti per attendere il transito dell'Eurocity.

Tutto qui? No, arrivato a Tortona, il povero 1789 chi si ritrova di nuovo dietro? Ancora lui! L'Eurocity 146 che, pur sostando a Genova, ha marciato più velocemente. E così, caso che crediamo unico in Italia, il 1789 subisce due precedenze ad opera dello stesso treno!

Se non avesse aspettato l'Eurocity a Sestri, ora non dovrebbe aspettarlo a Tortona, e riuscirebbe ad arrivare senza problemi a Milano Rogoredo, dove le due strade si divideranno nuovamente (uno per Bergamo, l'altro per Milano Centrale).

Risultato sicuro: quasi un quarto d'ora buttato via. Risultato molto probabile: anche più di un quarto d'ora, perché quando l'Eurocity è in ritardo - caso tutt'altro che raro la domenica sera - il 1789 è costretto ad attenderlo ben più dei 7 minuti d'orario. Naturalmente quasi nessun viaggiatore si accorge che le due precedenze sono a favore dello stesso treno. Tutti, però, ne escono con la sensazione che il 1789 "sia sempre fermo".

A questo si aggiunga che il 1789 in Riviera ha una marcia non particolarmente veloce, sia a causa della (giustissima) necessità di fermare in molte località turistiche, sia per qualche altra cosuccia che non va: ad esempio il doppio incrocio a Pietra Ligure (13 minuti di sosta), dovuto al fatto che la successiva stazione di Borgio Verezzi non permette più di incrociare, per gli effetti della "rete snella", come abbiamo mostrato in figura 1.2.

In totale si ha l'impressione che il 1789 potrebbe svolgere lo stesso servizio, con una "robustezza" della traccia uguale se non maggiore, impiegando almeno 20 minuti in meno: un bel vantaggio per i 400 viaggiatori che lo usano nelle domeniche d'estate.

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Fig. 2.3 - Il nuovo Eurostar Genova-Milano

Nel giugno 2007 è stato inserito un nuovo Eurostar Genova-Milano, che avrebbe dovuto rispondere alle esigenze dei viaggiatori, che da tempo richiedevano un servizio migliore e più veloce. In realtà, gli stessi utenti hanno subito preso le distanze dal nuovo treno, che arriva troppo tardi per molte esigenze lavorative: 8.57 a Milano Rogoredo e addirittura 9.22 a Porta Garibaldi (rispetto a quest'ultima stazione l'Eurostar è addirittura più lento dei normali Intercity).

Ma che cosa succede ad aggiungere un treno veloce, non inserito nella "struttura" di base della linea? Osserviamo il treno 2674 Novi Ligure - Milano: a Pavia deve cedere il passo al nuovo Eurostar, ed è pertanto costretto a una sosta di 8 minuti. Un'analisi più attenta mostra però che la traccia da Voghera a Pavia è stata abbondantemente "allungata" (20 minuti contro i normali 14), secondo una logica assai prudenziale, che ha fatto preferire l'effettuazione della precedenza rispetto al mantenere il 2674 davanti all'Eurostar fino a Milano, come molto probabilmente sarebbe stato possibile.

Il risultato d'orario è che il 2674 da Tortona a Milano impiega 1 ora e 22: esattamente 20 minuti in più del successivo treno interregionale 2531 che effettua il medesimo servizio. Il risultato pratico è anche peggiore: il 2674, puntuale, arriva a Pavia in largo anticipo, fa tutta la sua lunga sosta e spesso finisce per partire in ritardo a causa del frequente ritardo dell'Eurostar. Il 2674 arriva a Pavia con circa 200 viaggiatori e ne riparte con più di 250. Da quanto ci risulta, l'Eurostar pare abbia difficoltà a superare i 35 (trentacinque!): è stata fatta la scelta migliore?

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Fig. 2.4 - Orari stretti, orari larghi

I due casi precedenti sono accomunati da un'eccessiva prudenza nella tracciatura degli orari, che porta a disegnare precedenze anche dove non ce ne sarebbe bisogno. Un orario troppo lento, in realtà, non solo perde di competitività per il viaggiatore, ma crea anche instabilità alla stessa ferrovia: i treni si ritrovano spesso a viaggiare in anticipo, aumentando ancora di più la "varianza" del sistema.

Ormai non è raro trovare treni in anticipo, anche a poca distanza dalla stazione di origine (gli eventuali allungamenti dell'orario andrebbero invece concentrati alla fine del percorso, non all'inizio). Come caso limite, direttamente dal sito di Trenitalia, mostriamo questa corsa della S9, che a Lambrate ha addirittura 6 minuti di anticipo, e, ciononostante, riesce ad arrivare a destinazione con 3 minuti di ritardo, a riprova che un orario largo (ma sbagliato) non porta necessariamente alla puntualità.

Fig. 2.5 - Un disordine in crescita

Le FS hanno avuto molti orari ben progettati, proprio secondo le teorie del cadenzamento e del "sistema" di treni. Tuttavia negli ultimissimi anni si sta assistendo a un progressivo degrado, che sempre più appare in crescita esponenziale, tanto da preoccupare chi è ancora convinto che un orario ben fatto sia una condizione assolutamente necessaria per una buona ferrovia.

Prendiamo ad esempio gli ultimi quattro interregionali cadenzati della sera, da Verona verso Milano. L'orario del 2003 mostra ancora una struttura (giustamente) regolare, con tutti i minuti al loro posto.

Fig. 2.6 - Quattro "ex interregionali, ex cadenzati"

Due anni dopo, nel 2005, cominciano le prime cose strane. Due treni impiegano 1 ora e 50' (per inciso tre minuti in più del 2003). Gli altri due impiegano 5 minuti in meno (cioè 2 in meno del 2003). Andando a guardare il resto del servizio, ci si accorge che i due treni più veloci sono seguiti a 5 minuti da due Intercity fuori cadenza: evidentemente per non rallentare l'Intercity, si è scelto di far correre di più anche l'interregionale. Ma a nostro avviso è una scelta distorcente: se davvero l'interregionale può impiegare 5 minuti in meno, dovrebbe essere così per tutti; se invece quella percorrenza è stretta, non si otterrà alcun beneficio, perché ogni ritardo dell'interregionale si ripercuoterà sull'Intercity che lo segue.

Passano altri due anni: i treni sono ormai classificati tutti regionali, ma soprattutto non c'è più un treno uguale all'altro, né come tempi di viaggio, né come minuti di partenza da Verona, né come passaggi intermedi. Non vorremmo apparire perfezionisti, ma un orario che, su 40 fermate ne mostra ben 16 fuori cadenza ci dà un'impressione di degrado estremamente pesante.

 

Fig. 2.7 - Relazioni impossibili anche sulle linee principali

In alcuni casi si ha l'impressione che anche i servizi a lunga percorrenza facciano fatica a raccogliere la domanda di mobilità. Ad esempio chi volesse raggiungere la Puglia dalle Marche o dall'Abruzzo scoprirebbe che è assolutamente impossibile farlo al mattino: non esiste infatti alcun tipo di collegamento tra Ancona/Pescara e Foggia/Bari per ben 7 ore, dall'ultimo treno notturno, che transita ad Ancona ad orario improponibile, fino al primo Eurostar del mattino proveniente da Milano, che permette di arrivare in Puglia solo a pomeriggio inoltrato. Anche ricorrendo a treni del trasporto regionale, la breve tratta Termoli - Foggia (87 km) appare "invalicabile" per tutta la mattina. E ci troviamo sull'Adriatica, piena rete fondamentale, non certo su una linea secondaria.

 


3 .Gli investimenti tecnologici sono mal sfruttati o addirittura penalizzano le prestazioni del sistema

In un clima di austerity ogni nuovo investimento dovrebbe essere attentamente ponderato, per verificare se il costo di gestione della nuova tecnologia, prevedibilmente più complessa e raffinata della precedente, sia davvero inferiore al risparmio che si ottiene abbandonando la vecchia (ad esempio come minor costo del personale). Analogamente, occorrerebbe verificare se una tecnologia o una funzione del tutto nuova abbia costi realmente commisurati ai benefici che introduce. Se poi, in aggiunta ai costi, ci si trovasse di fronte al sostanziale inutilizzo della nuova tecnologia, vorrebbe dire che, ancora una volta, qualcosa non ha funzionato.

Buona parte degli impianti di condizionamento, installati in misura massiccia nel 2003/2004 sui treni del trasporto regionale, è stata utilizzata solo sporadicamente, vanificando in pratica gli investimenti fatti dall'azienda. Molti di questi impianti sono stati inseriti in carrozze che non erano per nulla adatte a riceverli (ovviamente perché erano state progettate quando l'aria condizionata non era prevista): in alcuni casi, come sulle carrozze a due piani, gli impianti sono montati in posizioni di difficile accesso, tali da richiedere lunghi tempi di sosta in officina per qualsiasi guasto, anche minimo.

Per inciso, è parere personale di chi scrive che l'utilizzo massiccio dell'aria condizionata sia uno degli scempi ambientali più rilevanti (e più ignorati) degli ultimi anni: un danno alla collettività di cui la ferrovia poteva sicuramente fare a meno ancora per vari anni, almeno per larga parte dei propri treni.

Va anche detto che la tecnologia chiama ancora più tecnologia: se una carrozza ha i finestrini apribili, è senza dubbio più agevole riconoscere la stazione in cui si sta arrivando. Se i finestrini sono sigillati e per giunta "oscurati" (un'altra inspiegabile moda attuale), di sera un sistema di annuncio delle fermate diventa praticamente indispensabile.

Alcuni esempi di nuove tecnologie introdotte ma in realtà assai poco utilizzate sono mostrati nelle figure che seguono.

Fig. 3.1 - Centralina di controllo del sistema "Oboe"

E' il dispositivo che permette l'annuncio automatico delle fermate. E' stato installato in modo massiccio intorno al 2003-2004 sui treni del trasporto regionale (carrozze pilota per il materiale ordinario e mezzi leggeri). Si basa su un sistema GPS che localizza il treno.

Affinché l'annuncio delle fermate funzioni, è necessario tuttavia che qualcuno comunichi al sistema il treno che si sta effettuando, e dunque le stazioni da annunciare. La scritta "No percorso" significa proprio questo: l'apparecchio è perfettamente funzionante (latitudine e longitudine sono quelle della stazione di Alessandria), ma nessuno ha caricato i dati del treno. Di conseguenza non ci sarà nessun annuncio delle fermate.

La tecnologia esiste e funziona, ma il risultato è nullo. Sistemi Oboe con la scritta "No percorso" si trovano in circolazione con troppa frequenza (in alcune regioni più che in altre, per essere precisi). Sui TAF LeNORD è invece in uso un sistema assai meno "tecnologico", non GPS, che però all'atto pratico sta funzionando molto bene.

The so-called "Oboe" is a GPS equipment, mounted on Trenitalia coaches, that can perform automatic station announcement. The message "No percorso" (no path) means that the train route was not loaded. The equipment is working, but it doesn't know the train on which it is running, so no announcement is possible.

 

Fig. 3.2 - Monitor di stazione TT18

Nella parte sinistra il monitor duplica inutilmente i normali quadri orario cartacei (ovviamente assai meno costosi) e pertanto non dà un particolare valore aggiunto. Nella parte di destra sono indicati i treni in partenza oggi. Le due colonne evidenziate avrebbero dovuto riportare il ritardo in tempo reale - unica vera informazione aggiuntiva - ma di fatto non sono mai state utilizzate (nei rari casi in cui sono stati osservati dei valori di ritardo, erano errati o riferiti a treni già transitati).

The TT18 display was mounted in 2003-2004 in many small stations, in order to provide real-time information where no other system was available. The left panel simply reproduces the timetable. The right panel should provide information about the delay of the train (in the empty columns) but has never worked.

Fig. 3.3 - La fine dei monitor

Questi monitor sono stati installati in un gran numero di stazioni secondarie, intorno al 2003-2004. A distanza di pochi anni, sono in maggior parte fuori servizio o abbandonati - come qui a Militello (CT) nel novembre 2006 - senza che mai abbiano funzionato per lo scopo per il quale erano stati progettati.

After few years, most displays are out of order.

 

Fig. 3.4 - Bacheche per gli avvisi

Intorno al 2005-2006 sono comparse queste nuove bacheche di RFI per gli avvisi di stazione. Il quadro delle partenze è regolarmente affisso all'interno della bacheca, ma la (copiosissima) serie di avvisi è semplicemente appiccicata con nastro adesivo sopra il vetro. Forse non si trovava la chiave? (qui a Mongardino (AT) nell'agosto 2007, ma osservato in numerosi altri casi).

RFI has mounted new displays for timetables. But the large number of sheets with timetable changes has been stiched over the glass. Did anyone lose the key?

Fig. 3.5 - Cartelli di percorrenza

Fino a circa 10-15 anni fa, ogni treno viaggiava con il proprio cartello di percorrenza, una piastra metallica sul fianco della carrozza, che ne indicava la destinazione. Poi i cartelli di percorrenza sono scomparsi, perché la loro gestione era troppo costosa. Da quel momento, per il viaggiatore, capire la destinazione di un treno è diventata una questione non banale.

Nel frattempo sono comparsi i primi display elettronici, che permetterebbero una gestione comoda, direttamente dalla cabina di guida. Tuttavia sulla larga maggioranza dei treni TAF di Trenitalia è sempre apparsa la scritta predefinita "Treno Alta Frequentazione", un'informazione assolutamente inutile.

Sui nuovi Vivalto, analogamente, abbiamo notato spesso il numero della carrozza (anch'esso inutile su treni non prenotabili!) ma non la destinazione. Va detto che sui TAF di LeNORD, identici a quelli Trenitalia, il display è sempre stato usato correttamente.

 

Mentre si rinnovavano sedili su sedili e si montavano condizionatori dal dubbio funzionamento, non si è mai pensato a qualche innovazione realmente utile alla circolazione. Ad esempio nel resoconto dalla Germania facevamo notare che le porte dei treni tedeschi si chiudono automaticamente dopo 3-10 secondi, salvo ovviamente che qualcuno stia salendo o scendendo. In questo modo la condizione normale delle porte è quella chiusa e la partenza del treno è molto facilitata; il personale di bordo non spende decine di secondi come da noi, per controllare di poter chiudere le porte: di fatto le trova già quasi tutte chiuse!

Anche la struttura stessa dei treni sta mostrando i suoi limiti. La larga maggioranza del servizio è ormai svolto in "composizione bloccata", cioè con un numero di carrozze assolutamente immodificabile: per soddisfare la domanda delle fasce di punta, devono circolare treni sovradimensionati per larga parte della giornata. Ovviamente questa non è l'unica impostazione possibile; ad esempio, il servizio LeNORD da anni usa treni modulari da 3-4 carrozze, che vengono abbinati a due a due solo nelle fasce di punta: questo si traduce tra l'altro in più tempo da dedicare a manutenzione e pulizia e, soprattutto in minori costi di gestione (i treni si usurano anche quando viaggiano vuoti!).


Una ferrovia sicura o una ferrovia al rallentatore?

I casi che abbiamo citato fin qui si possono ricondurre solo a un impiego inefficiente del denaro e a disagi per i viaggiatori. In realtà esiste tutta un'altra serie di investimenti tecnologici che, pur necessari e doverosi, sono stati realizzati in modo da penalizzare la circolazione, cioè il cuore della ferrovia. Ci riferiamo in particolare al nuovo attrezzaggio per la sicurezza noto come SCMT (Sistema di controllo marcia treno).

Dal momento che l'argomento sicurezza è delicato e complesso e si presta ad essere frainteso, abbiamo preferito dedicargli un articolo a sé, introdotto da alcune considerazioni generali, fino ad arrivare allo specifico dell'SCMT e dei suoi problemi.

Leggi in dettaglio Una riflessione sulla sicurezza ferroviaria.

Leggi una lettera aperta di un ex ferroviere all'amministratore delegato di FS (tratta da www.lavoce.info).


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Materiale di riferimento:

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Aggiornato a ottobre 2007

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