100 anni di storia delle FS: approfondimenti

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Acqua, carbone, energia: la locomotiva a vapore

Degli oltre 160 anni di storia delle ferrovie italiane, dalla prima linea del 1839 ad oggi, sono quasi 140 quelli che hanno visto le macchine a vapore in esercizio regolare: solo alla fine degli anni Settanta gli ultimi treni ancora effettuati con trazione a vapore - locali e merci - sono passati alla trazione diesel. Era però da lungo tempo che il vapore aveva abbandonato le relazioni principali a grande traffico, quelle dei servizi più impegnativi e spettacolari, in cui l'inarrestabile antagonista era la locomotiva elettrica; anzi: è interessante notare come la convivenza del vapore e della trazione elettrica sia stata all'incirca pari all'autentico regno del vapore "senza concorrenti", che, grazie alle elettrificazioni d'avanguardia del 1900, in Italia è quanto mai antico, quasi interamente ottocentesco.

Nella sua forma più semplice, la locomotiva comprende una caldaia, cioè un lungo cilindro colmo d'acqua e attraversato longitudinalmente dai tubi bollitori; attraverso questi tubi passano i fumi prodotti dalla combustione del carbone, che avviene nel forno, situato posteriormente, a ridosso della cabina di guida. Il calore riscalda l'acqua e la fa evaporare, portandola ad una certa pressione: il vapore si concentra in una apposita camera (duomo), posta nella parte superiore della caldaia, e da qui viene prelevato per essere inviato al motore. Esso è costituito da almeno due cilindri, in cui, grazie a un meccanismo di distribuzione, è possibile immettere il vapore stesso ora a un estremo, ora all'altro. Il vapore è così in grado di premere contro lo stantuffo, contenuto nel cilindro, facendolo muovere avanti e indietro: il moto alternativo viene trasformato in rotativo attraverso due bielle motrici (una per cilindro), imperniate sulle due ruote della locomotiva che costituiscono un asse.

Se, come è la norma, le ruote sono più di due - cioè la locomotiva ha più di un asse motore - il moto è trasmesso alle rimanenti mediante le bielle di accoppiamento tra gli assi, che in tal caso si dicono accoppiati. La regolazione della velocità si ottiene variando il quantitativo di vapore prelevato dal duomo mediante il regolatore, e impostando il grado di introduzione, vale a dire la percentuale della corsa dello stantuffo lungo la quale il vapore è introdotto nel cilindro. Quest'ultima funzione è svolta appunto dalla distribuzione che, legando il moto delle ruote con quello del meccanismo che introduce il vapore nei cilindri, si incarica anche di stabilire il senso di marcia della locomotiva.

Locomotiva sezionata


Una locomotiva che comprenda tutti questi elementi è sì in grado di viaggiare ma, in mancanza di ulteriori accorgimenti, rischia di sprecare buona parte dell'energia di cui dispone, che resta nel fumo di scarico e va pertanto dispersa senza che produca lavoro utile. Uno dei modi più affascinanti per leggere l'intera storia della locomotiva a vapore è quello che guarda al suo rendimento termodinamico cioè il rapporto tra l'energia utile a trainare il treno e l'energia bruciata nel carbone: si può infatti individuare un'evoluzione tecnologica ininterrotta tutta tesa al miglioramento del rendimento.

Oggi sappiamo che il rendimento massimo teorico di un motore a vapore è legato solo alla differenza tra le due temperature estreme del ciclo di lavoro, che nel nostro caso sono quella del vapore e quella dell'ambiente esterno in cui esso verrà scaricato; va però detto che, nella realtà, anche le migliori macchine hanno rendimenti ben inferiori a quello teorico: ad esempio, la 685, eccellente locomotiva, arrivava a circa il 6.5%. In certi casi, fu proprio la necessità pratica di aumentare il rendimento che portò a studiare dal punto di vista teorico le leggi della termodinamica: una situazione opposta a quanto avvenne per esempio per l'elettromagnetismo, che venne prima studiato teoricamente e poi utilizzato nella pratica, naturalmente anche per la ferrovia.


 

Nuove tecniche per risparmiare carbone

Nei primi anni del XX secolo, i dodici gruppi unificati individuati dalle FS appena costituite facevano largo uso della prima grande innovazione pensata per aumentare il rendimento del motore a vapore: la doppia espansione. Il ragionamento era semplice: dato che il vapore scaricato dai cilindri contiene ancora molta energia, è possibile immetterlo in una seconda coppia di cilindri, per farlo ulteriormente espandere, e sfruttare quindi un'ulteriore percentuale di quell'energia. Questi nuovi cilindri, detti a bassa pressione, si riconoscono immediatamente per la dimensione assai maggiore rispetto agli altri due, necessaria per poter compiere un lavoro paragonabile ai primi, pur agendo a pressione inferiore; mentre all'estero fu prassi comune montare i cilindri ad alta pressione all'interno del telaio e quelli a bassa pressione all'esterno (oppure anteriormente, agenti su un secondo gruppo di assi, come sulle macchine di tipo Mallet), in Italia si diffuse una configurazione asimmetrica, con i cilindri ad alta pressione sul lato sinistro e quelli a bassa pressione sul destro (motore Plancher, dal nome del suo ideatore).

Nella pratica, insieme al miglioramento termodinamico, la doppia espansione portava con sé svariati problemi: il maggior ingombro dei cilindri a bassa pressione, l'asimmetria dello sforzo di trazione, la necessità di caldaie a pressione maggiore (16 bar anziché 12) per disporre di una pressione ragionevole anche alla seconda espansione, e varie complicazioni costruttive. Proprio nei primissimi anni del XX secolo, comparve invece un'altra fondamentale innovazione sul fronte dell'aumento del rendimento: il surriscaldamento del vapore. E' infatti noto che la temperatura e la pressione di un fluido sono legate fra loro: di conseguenza, data la pressione, non è possibile alzare ulteriormente la temperatura del vapore saturo, cioè del fluido "bifase" costituito da acqua e vapore, che è appunto presente in caldaia.

Se però, anziché portare direttamente ai cilindri il vapore prelevato dal duomo, gli si fa percorrere una serpentina di condotti, infilati nei tubi bollitori della caldaia, esso può aumentare la propria temperatura, cioè "surriscaldarsi", dal momento che ora non è più in contatto con l'acqua della caldaia. Il surriscaldatore, costituito da quei condotti, permette dunque di far crescere la temperatura del vapore dai 200°C del punto di saturazione a oltre 300°C (per caldaie a 12 bar), rendendo disponibile una maggiore quantità di energia per il motore, senza gli oneri costruttivi legati a un aumento della pressione; anche il rendimento termodinamico migliora, data la maggiore differenza tra le temperature estreme del ciclo di lavoro.


Nel giro di pochi anni, il surriscaldamento fu adottato sulla quasi totalità di locomotive, escluse solo le più piccole; esso non era incompatibile con la doppia espansione, tanto che, trent'anni più tardi, soprattutto in Francia, si dimostrò che i due metodi abbinati potevano ottenere risultati ancora più notevoli. Tuttavia, al principio del secolo, esso venne considerato come una alternativa alla doppia espansione, più semplice e più efficiente, anche se impiegata da sola.

Dagli originali gruppi unificati a vapore saturo e doppia espansione si derivarono pertanto i corrispondenti gruppi a vapore surriscaldato e semplice espansione: le 640 dalle 630, le 625 dalle 600, le 685 dalle 680, le 740 dalle 730, le 880 dalle 875 e così via. Chi ha familiarità con le locomotive che ancora oggi sono utilizzate in testa ai treni storici, le ritrova in questi gruppi, che rappresentano i diretti eredi delle prime progettazioni delle FS e, insieme, le macchine della maturità della progettazione italiana, costruite già contemporaneamente alle locomotive elettriche trifasi. Utilizzate per buona parte del XX secolo, con una vita utile spesso da primato, queste macchine continuano ancor oggi a dare testimonianza di quello che è stata la rivoluzione industriale, e di chi in essa è stato uno dei principali personaggi.

Tra il 1907 al 1934 venne dunque costruito un grande quantitativo di locomotive a vapore surriscaldato: circa 2350 esemplari, ripartiti in una quindicina di gruppi e compresi circa 500 ottenuti dalla ricostruzione di macchine a vapore saturo. Completate queste realizzazioni, la tecnologia del vapore presso le FS si esaurisce eccezionalmente presto, in pratica verso la metà degli anni Venti, per quel che riguarda le costruzioni interamente nuove. Le elettrificazioni generano cioè un considerevole "anticipo tecnologico", specie rispetto a paesi di grande tradizione ferroviaria, quale ad esempio la Germania, che continuò a progettare nuove macchine a vapore fino a tutti gli anni Cinquanta (pur togliendole dal servizio regolare all'incirca alla stessa epoca dell'Italia, nel 1977).


Se le nuove elettrificazioni rendevano sempre meno conveniente la trazione a vapore, la ricerca di un migliore rendimento proseguiva però con importanti innovazioni, che si concretizzavano nella ricostruzione migliorata di locomotive esistenti. Alcune realizzazioni non ebbero grande successo, come l'unica 685 trasformata con motore a turbina nel 1933, oppure furono legate soprattutto a canoni estetici, come la A.691.026 aerodinamica del 1939, in cui il beneficio della carenatura era minimo alle normali velocità d'esercizio.

Sono invece degne di nota due importanti innovazioni, introdotte da illustri tecnici italiani. La prima è un sistema di distribuzione a valvole, progettato da Arturo Caprotti, in cui un meccanismo a camme lavora utilizzando il moto che riceve da uno degli assi motori tramite giunti cardanici: con l'uso delle valvole si eliminano i problemi di laminazione del vapore, e il conseguente abbassamento del rendimento, che si riscontrano nei cilindri della distribuzione tradizionale.

La distribuzione Caprotti fu inizialmente sperimentata nel 1923 su quattro 685 (serie 700) e quindi utilizzata sia per le nuove costruzioni (trenta 685 di quinta serie, così come altri gruppi, quali le 746 e le 744), sia per la ricostruzione di vecchie locomotive a doppia espansione, che venivano convertite a semplice espansione e a vapore surriscaldato (680, trasformate in 685; 600 e 630 trasformate in 625 e 640, e altre). Le macchine Caprotti si distinguevano per un biellismo visivamente più semplice, dato che mancava tutta la tradizionale distribuzione Walschaerts e il meccanismo a camme era invisibile dall'esterno.

Sicuramente assai più vistosa è però la seconda innovazione, il sistema di preriscaldamento progettato da Attilio Franco già negli anni Venti e applicato poi a partire dal 1940 nella versione migliorata da Piero Crosti. Le tecniche di preriscaldamento consistono nel non iniettare direttamente in caldaia l'acqua fredda prelevata dal tender, bensì nel farle dapprima percorrere uno scambiatore di calore che utilizza il vapore esausto proveniente dal motore. Il sistema Franco-Crosti era un innovativo apparato che, oltre al vapore esausto, usava anche i gas di scarico: questo, insieme ad altri miglioramenti, portava ad un risparmio di carbone che poteva arrivare al 15-20%. Il sistema non passava inosservato: i preriscaldatori, di dimensioni paragonabili a quelle della caldaia, avrebbero modificato sensibilmente l'estetica di qualunque macchina; per i primi esperimenti, si ebbe allora l'idea di mascherarli con una carenatura integrale: cinque 685 della quinta serie (dunque già dotate di distribuzione Caprotti) furono trasformate in locomotive Franco-Crosti carenate nel 1940-41. Ma la moda delle carenature aerodinamiche, che così tanto caratterizzò l'Europa alla fine degli anni Trenta, si coniugava a fatica con le esigenze di manutenzione delle locomotive a vapore, specie se estesa a ruote e cilindri.

Dopo la guerra, la carenatura fu rimossa, ma non del tutto, dando origine a uno degli aspetti più curiosi fra tutte le locomotive italiane. In seguito molte 740 furono trasformate in 743 (due preriscaldatori laterali) e poi anche in 741 (un unico preriscaldatore sotto la caldaia): rimaste in servizio fino alla prima metà degli anni Settanta, le 743 di Alessandria e le 741 di Fortezza hanno caratterizzato molti degli ultimi servizi a vapore della pianura padana e della Val Pusteria.

Il sistema Franco-Crosti
The Franco-Crosti Pre-heating System

Locomotiva a vapore 743, sistema Franco-Crosti (1951-1953)

The Franco-Crosti system was an innovative pre-heating apparatus, which used both exhausted gas and steam to heath the water before introducing it into the boiler. This, together with other improvements, lead to a fuel saving of 15 to 20%. It was experimented before the war and then applied on a quite large scale during 1950's, by reconstructing normal locos, e.g. 743 from 740.

Disegno di Guglielmo Valetti

E' tuttavia interessante notare come le macchine a migliore rendimento - Caprotti e Franco-Crosti - si siano estinte per prime, rispetto a quelle più tradizionali, tanto che al momento non risultano presenti nel parco di mezzi storici delle FS (sebbene alcune siano in corso di restauro): è in un certo senso l'altra faccia della ricerca dell'economia e dell'affidabilità, che nell'esercizio quotidiano non sono fatte solo di rendimento ottimale, ma anche, ad esempio, di semplicità d'uso e di manutenzione.


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Argomenti correlati: come si guida una locomotiva a vapore, da una pubblicazione delle Ferrovie Nord Milano del 1942.


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