Il trasporto regionale Trenitalia, un decennio da precari

Scritto a marzo 2011

Questo articolo riassume in una "vista d'insieme" a livello nazionale quello che è successo alle ferrovie italiane nell'ultimo decennio, dal punto di vista economico, soffermandosi poi sui "tagli della Finanziaria" del 2010-2011. Il testo è volutamente sintetico, ma negli argomenti correlati alla fine dell'articolo sono reperibili tutti i successivi approfondimenti.


INDICE

  • 2001-2006: il tempo dell'utopia
  • 2007-2008, l'anno senza svolta
  • 2010-2011, l'ora del precariato
  • Tagliare, ripristinare e nel frattempo tagliare sul serio
  • 2012: ricominciare daccapo
  • E la ferrovia?

     


    2001-2006: il tempo dell'utopia

    Se guardiamo il percorso compiuto dalla ferrovia italiana nell'ultimo decennio, scopriamo che, dopo un approccio rigoroso e innovativo, legato alle scelte del DLgs 422/97, esso ha preso una piega che è difficile definire virtuosa, e che anzi può essere descritta con i termini solo apparentemente contradditori di immobilismo e precarietà.

    Nel 2000 i servizi regionali vengono infatti "spacchettati" tra le Regioni, che ne acquisiscono la competenza programmatoria, cominciando a sottoscrivere contratti di servizio con Trenitalia (e analogamente con le altre ferrovie regionali ex concesse). Tuttavia il framework normativo non è stato pensato per una ferrovia "in divenire" e solo poche Regioni (Toscana, Lombardia, Alto Adige) provano realmente a programmare i servizi, mentre quasi tutte le altre si limitano alla conservazione dello status quo, o a destreggiarsi di volta in volta con le istanze dei comitati pendolari, ben raramente coordinate e finalizzate a un disegno unitario.

    Teoricamente i servizi andrebbero messi a gara, ma nessuno (a parte la Lombardia nel caso della gara della Linea S5) risolve la questione del materiale rotabile, che costituisce una barriera all'ingresso assolutamente fondamentale, specie là dove, seguendo l'utopica visione del DLgs 422/97, si tenti di mettere a gara l'intero servizio della Regione.

    Complessivamente le Regioni a statuto ordinario si dividono una torta di circa 1200 M€/anno, che resta immutata fino al 2008, e solo pochi bilanci regionali (soprattutto Toscana, Lombardia, Emilia e Veneto) aggiungono risorse proprie.


    2007-2008, l'anno senza svolta

    Il mancato adeguamento delle risorse statali, la "spada di Damocle" della messa a gara e il modesto apporto di risorse regionali contribuiscono a erodere drammaticamente i bilanci Trenitalia. La stessa Trenitalia attua un progressivo deterioramento dei servizi regionali più remunerativi (in particolare gli Interregionali a fine 2005) impoverendo il sistema sussidiato, a vantaggio di quello a lunga percorrenza. Pochi anni dopo procederà al livello successivo, impoverendo gli Intercity a vantaggio delle nuove Frecce ad alta velocità.

    A fine 2007 Trenitalia rivendica più risorse dalle Regioni, introducendo un nuovo prezziario obbligatorio, il cosiddetto Catalogo. Per tutto il 2008, si vive sotto la minaccia concreta dei tagli al servizio, fino all'arrivo dei 480 M€ aggiuntivi della L 2/2009, peraltro fissati per il solo triennio 2009-11 e quindi oggi già "in scadenza".

    Nel 2009, ad una ad una, tutte le Regioni accettano di firmare il contratto a catalogo, anche perché nello stesso 2009, con tre leggi che potremmo chiamare il pacchetto del monopolista, lo Stato assicura a Trenitalia risorse non destinabili a nessun altro concorrente (la citata L 2/2009), contratti da 12 anni (L 33/2009) e la cancellazione dell'obbligatorietà della gara (L 99/2009), assecondando di fatto la scelta rigidamente monopolistica della propria azienda.


    2010-2011, l'ora del precariato

    Quando la situazione sembrava quanto meno stabilizzata, a metà 2010 il D.L. 78/2010 taglia 4000 M€ alle Regioni a partire dal 2011 e riporta la scure dei tagli sulle ferrovie.

    E' importante notare che il taglio è impostato tecnicamente in modo da agire sulle risorse che sono ancora oggi erogate come trasferimenti puri. Essi ammontano a 5100 M€ e quindi, su questo totale, il taglio è estremamente cospicuo: addirittura il 78%. Purtroppo Trenitalia, con 1181 M€, costituisce la singola quota più rilevante di questi 5100 M€. Sono invece escluse, ad esempio, le risorse ricevute dalle Regioni come compartecipazione all'accisa sul gasolio (che in senso stretto non sono "trasferimenti") che finanziano tra l'altro le ferrovie regionali.

    L'impostazione del taglio impone alle Regioni di ridefinire l'allocazione delle risorse all'interno dei propri bilanci, riorganizzando le risorse tra voci tagliate e voci non tagliate: in pratica è evidente che un taglio del 78% è ingestibile se applicato su alcune singole voci - peraltro finite sotto la scure quasi a caso - e andrà quindi "spalmato" anche sulle voci che formalmente non sono state tagliate. Si tratta di un processo di per sé virtuoso, in quanto "responsabilizza" le autonomie regionali, ma per il quale le Regioni appaiono sostanzialmente impreparate, specie in un clima di crisi economica. E' ad esempio spontaneo che i titolari di voci non tagliate si oppongano a questa redistribuzione, che si gioca tutta a livello regionale: come abbiamo detto, infatti, la legge dello Stato ha solo imposto il totale da tagliare, in un ambiguo zelo federalista che è difficile considerare disinteressato.


    Dato che far sparire completamente le risorse destinate a Trenitalia appare improponibile (anche nell'ottica di ridistribuire risorse dagli altri settori), nella seconda metà del 2010 esse vengono via via ripristinate, ma "a pezzetti":


    Tagliare, ripristinare e nel frattempo tagliare sul serio

    Con le voci che abbiamo visto, e posto che tutti gli accordi vengano onorati (condizionale d'obbligo, purtroppo), nel 2011 si avrebbero dunque 372+425+50+400 = 1247 M€, cioè addirittura 66 M€ in più delle risorse tradizionali per Trenitalia (che erano i classici 1181 M€).

    E allora, dove sono i tagli?

    Bella domanda.

    Per prima cosa, a onor del vero, va detto che anche altre voci inerenti il trasporto locale sono state tagliate, ma si tratta comunque di poca roba: circa 100 M€ di compartecipazione statale all'Iva sui contratti di servizio (Iva che, ricordiamo, le Regioni sono costrette a pagare allo Stato e che fino al 2010 hanno ricevuto "indietro" dallo Stato per circa il 55%, in una specie di girotondo che è arduo considerare come una cosa logica). Poi 42 M€ di risorse per la manutenzione delle ferrovie regionali (tecnicamente: ex L 297/78, una delle 42 voci citate sopra). E poi null'altro, perché le altre risorse per le ferrovie regionali sono già state fiscalizzate dalla Finanziaria 2008 e quindi non tagliate, e tutte quelle per il trasporto pubblico su gomma, tram e metropolitane sono "autonome", cioè proprie dei singoli bilanci regionali, fin dall'abolizione del Fondo Nazionale Trasporti nel 1996. Dunque, in questa ipotesi, il taglio vero al settore delle ferrovie è pari a 42+100-66 = 76 M€, su un budget di risorse statali di quasi 1700 M€: circa il 4% considerando solo le ferrovie, e dunque pressoché trascurabile sull'intero settore del trasporto locale, inclusa la gomma, che vale circa il triplo.

    La prima conclusione che possiamo trarre è che qualunque taglio alle ferrovie che ecceda questo modesto 4% serve in realtà a non tagliare (o tagliare di meno) altri settori, tra tutti quelli che sono stati oggetto della riduzione dei 4000 M€: una riduzione intrinsecamente fuorviante, perché è andata a colpire in funzione della fonte di finanziamento e non del merito della materia. In particolare tutto quello che è stato tagliato sul trasporto pubblico non di Trenitalia (e sembra che non sia stato poco!) è da interpretarsi proprio come effetto della ridistribuzione dei tagli all'interno dei singoli bilanci regionali. Ribadiamo infatti che le risorse per questi servizi figurano tutte come "autonome" e quindi non sono state formalmente tagliate in modo diretto. Ma quanti governi regionali si sono presi la briga di spiegarlo chiaramente ai propri cittadini?


    Si può però fare anche un altro ragionamento: al lettore non sfuggirà che tagliare tout court le risorse per un servizio "indispensabile" come quello ferroviario e poi reintegrarle un pezzetto alla volta è una pratica quanto meno bizzarra, sicuramente dispendiosa in termini di fatica amministrativa e di consenso politico. Eppure così è stato fatto. Come mai? Anche questa è una domanda difficile. L'interpretazione che propongo è che, così facendo, qualcosa si riesce a tagliare lo stesso.

    Provo a spiegare: nella percezione del cittadino, del politico, dell'amministratore (e nel caso specifico anche del Ministero dell'Economia), il trasporto pubblico è un costo e uno spreco. Sul sito che state leggendo si cerca in ogni modo di far capire che esso è un'opportunità per il cittadino e una risorsa per il Paese, oltre che quanto di più ecosostenibile si possa immaginare per la mobilità, ma l'opinione più diffusa non è sicuramente questa. E allora in tale ottica il trasporto pubblico è qualcosa da tagliare, appena si può e come si può. Un governo centrale che fa sparire le risorse per le ferrovie, pur sapendo che poi una pezza ci andrà messa, offre su un piatto d'argento ai governi locali l'occasione per dire che "bisogna tagliare". Poi le risorse ritornano, ma nel frattempo qualcosa si è tagliato lo stesso: già oggi è quello che è successo, per Trenitalia soprattutto in Campania, in Liguria, in Abruzzo ma verosimilmente anche in altri posti, magari un po' meno appariscenti. E quindi al prossimo passo le risorse potranno essere un po' di meno.


    Come sempre, poi, la ragione non sta mai da una parte sola, e tante sono le cose che non vanno: la crescita dei corrispettivi del 40% legata al Catalogo Trenitalia è quanto meno una cosa anomala, anche se faceva seguito a 8 anni di importi bloccati; il cercare che almeno adesso non crescano più è un'esigenza condivisibile di finanza pubblica, anche perché è altrettanto condiviso che la gestione di Trenitalia non è mai stata improntata a un modello di encomiabile efficienza (come probabilmente è tipico di tutti i settori in cui "paga qualcun altro"). Se poi un effetto della scarsità di risorse pubbliche è stato quello di portare a un qualche ragionevole aumento tariffario, probabilmente anche questo non è del tutto un male: oggi il divario tra le tariffe dell'Alta Velocità (dell'ordine di 15 cent€/km) e quelle degli abbonamenti regionali (spesso sotto i 3 cent€/km) produce effetti distorsivi sull'impresa ferroviaria, spingendola a orientare ogni "attenzione al cliente" solo sul primo mercato. Ma anche questo sarebbe da spiegare con una certa chiarezza e onestà ai cittadini. E, dovendo scegliere, sarebbe preferibile aumentare maggiormente le tariffe degli abbonamenti rispetto a quelle di corsa semplice, dove la concorrenza del mezzo privato è assai più forte (più dettagli). Che cosa è stato fatto ad esempio in Liguria? +15% abbonamenti, +25% corsa semplice... ecco, appunto.

    Infine è triste dirlo ma, là dove nessuno ha portato una vera progettualità al sistema ferroviario - cioè nella maggioranza delle Regioni - servizi oggettivamente inefficaci non mancano (anche se questo è enormemente più vero per il resto del trasporto pubblico, specie quello interurbano su gomma).


    2012: ricominciare daccapo

    Dal 2012, il totale da tagliare, sempre secondo il DL 78/2010, sale da 4000 a 4500 M€ e paradossalmente, ad oggi, non esiste più nemmeno una risorsa statale a disposizione per i contratti di servizio Trenitalia: non i 1181 M€ tradizionali del DLgs 422, che la medesima decisione della Conferenza delle Regioni ha cancellato del tutto dal 2012; non i 480 milioni della L 2/2009 che erano esplicitamente limitati a tre anni; non le altre risorse del 2011, tutte dichiaratamente una-tantum. Rimarrebbero solo le risorse aggiuntive regionali, appena il 10% del valore dei contratti su base nazionale.

    Esiste in verità, nell'Accordo di dicembre 2010, l'impegno del Governo a ripristinare la fiscalizzazione delle risorse Trenitalia cioè il legare le risorse all'accisa sul gasolio o sulla benzina (previsto già nel 2008 in analogia a quanto fatto sulle ferrovie regionali ma poi abrogato prima che entrasse in vigore). Ovviamente la fiscalizzazione ridarebbe risorse in modo stabile, sia pure in altra forma.

    Ma tempi e importi sono oggi imprevedibili, e siamo certi che il "precariato" continuerà.


    E la ferrovia?

    In queste tre paginette abbiamo parlato fin troppo di soldi e di finanziamenti. Di tal fatta è stata, purtroppo, anche la maggioranza del dibattito pubblico e amministrativo sulla vicenda dei tagli, e su questo si è ahimè concentrato anche il lavoro di chi scrive.

    Eppure, le doverose questioni di risparmio non possono far dimenticare – e anzi dovrebbero enfatizzare! – le regole tecniche di progettazione del servizio, senza le quali l'"entropia" del sistema non può che aumentare. In proposito è curioso osservare come spesso la parte politica di molte Regioni prometta genericamente "un servizio migliore", senza che da queste dichiarazioni traspaia alcuna idea progettuale. In altre Regioni, specie al sud, sembra non si sappia andare oltre affermazioni del tipo "eh sì, da noi i viaggiatori sono pochi...", che è come dire: siamo senza speranza, per la ferrovia è previsto solo un declino. Ma il compito di una pubblica amministrazione, che utilizza soldi dei cittadini, è la rassegnazione o il saper far fruttare questi soldi? E' ovvio che la frequenza di 15 minuti non si può avere ovunque, ma posso fare 8 treni al giorno e farli bene, oppure fare 8 treni al giorno che non servono a nessuno. E costano sostanzialmente uguali.

    In realtà la ferrovia non funziona "da sola", ma solo se si rispettano alcune regole: regole di progettazione degli orari (come il cadenzamento e la "simmetria", un artificio tecnico utile a garantire le coincidenze in entrambi i sensi di marcia), livelli minimi "decorosi" di servizio (sotto i quali non ha nemmeno senso mantenere una ferrovia) e livelli minimi di prestazione (velocità commerciale e frequenza). Ad esempio in Lombardia l'introduzione del servizio suburbano, con le Linee S "chiamate per nome" (S1, S2, S3...) e volontariamente omogenee per percorso, frequenza e fermate, rappresenta un esempio di mettere ordine nel servizio e una precisa idea progettuale, di cui "il servizio migliore" diventa la logica conseguenza.

    Occorre poi che ogni intervento sia pensato ragionando nell'ordine "servizio - ferro - cemento" (e non nell'ordine opposto!). Non da ultimo, occorre che la ferrovia e il trasporto pubblico in generale si presentino come un unico sistema, anziché enfatizzare un fuorviante antagonismo tra sistemi di trasporto pubblico in competizione fra loro. Solo così si può offrire una reale competitività verso il concorrente-automobile (e non tra ferrovia e ferrovia), e la ferrovia può essere realmente un bene per tutti.

    Solo una volta analizzati tutti questi aspetti, si può ragionare sul fatto se la ferrovia sia effettivamente quello "spreco" che l'ansia di tagliare di questo 2010-2011 sembra voler sostenere.


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