Gr. 660 (1900-04, 51 unità). Le 660 nacquero come gruppo RM 3100: furono progettate a Torino per la Rete Mediterranea negli anni immediatamente precedenti la nascita delle FS. Il primo esemplare, inizialmente classificato RM 3151 e costruito da Ansaldo, partecipò all'Esposizione Universale di Parigi del 1900. Le successive macchine vennero prodotte dalla Maffei di Monaco, dalle OM di Milano, dalle Costruzioni Meccaniche di Saronno e infine dalla Hawthorn-Guppy di Napoli. Coerentemente con la tecnica dell'epoca, erano macchine a vapore saturo e doppia espansione, a due cilindri esterni (uno ad alta pressione e uno a bassa), con distribuzione Walschaerts. Il rodiggio 2'C con ruote da 1830 mm di diametro le destinava al servizio viaggiatori, per cui potevano sviluppare la velocità massima di 90 km/h. La caldaia aveva due differenti diametri, con un elemento di transizione conico in corrispondenza del duomo. Il disegno riproduce la 660.038 con numerazione originale a quattro grandi cifre in bronzo e con tre fanali anteriori, quindi nei primissimi anni dopo il passaggio alle FS. Le 660, rapidamente superate dalla tecnica del surriscaldamento del vapore, scomparvero negli anni '30. |
Gr. 750 (1902-06, 40 unità). Anche le 750 erano macchine dell'ufficio studi di Torino, progettate prima del passaggio alle FS. Delle 40 totali, le prime 30, costruite da Ansaldo e Breda, arrivarono ancora alla Rete Mediterranea, dove costituirono il gruppo 4500. Le ultime 10, di costruzione OM, vennero invece consegnate alle neonate FS nel 1906.Con questo gruppo la Rete Mediterranea contava di migliorare il servizio sull'importante linea Succursale dei Giovi, sia per i passeggeri, sia per i merci - rispettivamente 150 ton a 45 km/h e 500 ton a 20 km/h - permettendo di coprire il percorso Genova-Ronco senza rifornimenti intermedi e senza pulire la griglia. Per quest'ultimo aspetto giocava a favore il forno Wotten di concezione americana con focolare largo. Per il resto, anche queste macchine confermavano la tecnica della doppia espansione a due cilindri e distribuzione Walschaerts. Avevano una velocità massima di 60 km/h, e le ultime 10 con caldaia potenziata furono anche le prime macchine italiane a toccare la potenza di 1000 CV (735 kW). La storia ci racconta come finì la corsa: appena una decina d'anni dopo, proprio sui Giovi, si rivoluzionò la ferrovia con l'adozione della trazione elettrica trifase, e l'esercizio sulle difficili linee di montagna cambiò per sempre. |
Gr. 320 (1904-07, 201 unità). Le 320 furono un Gruppo di ampia diffusione, sviluppato dalla Rete Mediterranea, che nel 1904 mise in servizio i primi 59 esemplari, classificati 3601-3659. Dopo la costituzione delle FS, tra il 1906 e il 1907, arrivarono le restanti unità. Erano macchina a vapore saturo e doppia espansione, a quattro cilindri, con distribuzione Walschaerts e un diametro delle ruote intermedio, che permetteva di raggiungere i 65 km/h e le rendeva adatte sia ai servizi viaggiatori, sia a quelli merci. Negli anni '30, l'ultimo decennio che le vide in servizio, si trovavano nel Nord-Ovest (Novara, Genova Rivarolo, Savona e Ventimiglia), a Roma e a Civitavecchia. È interessante confrontare la potenza delle macchine a vapore di questa generazione con le prime locomotive trifasi che nascevano negli stessi anni: le 320 avevano una potenza di 570 cavalli, ovvero circa 420 kW. Le primissime E.430 del 1901 sviluppavano una potenza oraria di 440 kW, cioè pressoché identica, ma già le E.360 - le trifasi del Sempione, del 1904 - raggiungevano i 600 kW, che sarebbero saliti a 1500 con le celebri E.550 del 1908: nel giro di meno di un decennio, la locomotiva trifase aveva più che triplicato la sua potenza, racchiudendola in una forma compatta, persino meno ingombrante delle piccole 320. |
Gr. 720 (1906, 10 unità). Appena costituite, le FS provarono a giocare la carta della produzione americana: locomotive rapidamente disponibili, e utili anche a scopo di confronto. Dieci macchine per treni merci del Gruppo 720 furono consegnate dalla Baldwin di Filadelfia nel 1906, seguite l'anno successivo da altre dieci per treni passeggeri (gruppo 666). Entrambe erano a vapore saturo (le 666 anche a doppia espansione) e introdussero tra l'altro un nuovo tender a carrelli che qualche anno più tardi sarebbe diventato la base per il classico modello FS. Le 666 e le 720 furono dismesse negli anni '30 e nessun esemplare è sopravvissuto. |
Gr. 666 (1907, 10 unità). Ecco dunque la 666, versione passeggeri del costruttore americano Baldwin, arrivata anch'essa in 10 esemplari, quasi insieme alle 720 che abbiamo appena visto. In questo caso si tratta di macchine a doppia espansione a 4 cilindri, distribuzione Stephenson e tre grandi ruote motrici, con un carrello portante anteriore. La velocità massima di 110 km/h era persino eccessiva per l'epoca, superiore a quella della maggior parte delle linee, mentre il carico assiale di 16 ton era sufficientemente contenuto da non dare molti problemi di circolabilità. L'autore ha arricchito il disegno con le figure del macchinista e del fuochista. |
Gr. 470 (1907-09, 143 unità). Al pari delle 670, le locomotive del Gruppo 470, sono state tra le più inconsuete delle FS, per via della cabina chiusa, tipo locotender, con scorte di carbone a lato della caldaia, a cui era tuttavia abbinato un tender a due assi per la scorta d'acqua. Il tender, come ulteriore particolarità, aveva anche un locale per il capotreno, con l'obiettivo di risparmiare un veicolo: queste locomotive erano infatti destinate alla trazione di pesanti treni merci, come rivela il rodiggio a cinque assi accoppiati; coerentemente con la tecnica dell'epoca, erano a doppia espansione (motore tipo Plancher) e vapore saturo. L'unità 092, unica sopravvissuta, è conservata al Museo della Scienza di Milano. L'autore ha posto in cabina il macchinista, preso proprio dall'unità 4791 fotografata nel 1910: in questo modo è anche più facile rendersi conto delle dimensioni della locomotiva. |
Gr. 471 (1918, 130 unità). Con l'evoluzione tecnologica che aveva imposto la tecnica del surriscaldamento, nel giro di pochi anni, la larga maggioranza delle 470 venne trasformata a vapore surriscaldato. Con l'occasione la cabina venne ricostruita nella foggia normale aperta, abbinando un tender tradizionale. In questa forma le 471 sono rimaste in servizio fino agli anni '60, sia in Sicilia, sia nell'Italia centrale (depositi di Foligno, Fabriano e Sulmona). |
Gr. 688 (1909-16, 28 unità ex kkStB 429). Un mondo a parte è quello delle locomotive a vapore arrivate in Italia come risarcimento bellico negli anni seguenti la Grande Guerra, sia dalla Germania sia dall'ormai dissolto impero austriaco. Si trattava di un gran numero di gruppi, spesso di rilevante qualità, anche se il ridotto numero di esemplari per gruppo e la differente scuola costruttiva resero relativamente breve la carriera italiana di molte di queste macchine. Il gruppo 688 andò a comprendere 28 unità provenienti dalle Ferrovie imperial-regie dello Stato austriaco (kkStB) dove erano classificate come 429. Erano locomotive a doppia espansione, secondo la tecnica di fine ottocento, ma già con l'innovazione novecentesca del vapore surriscaldato; avevano due cilindri, salvo due unità di una differente serie costruttiva, a quattro cilindri. Negli anni '30 erano ripartite tra Venezia e Trieste. Un totale di 7 o 9 unità (secondo le fonti) finirono in Jugoslavia dopo la seconda guerra mondiale, costituendo il gruppo JZ 106, mentre alcune altre tornarono in Austria nel 1950-51 (probabilmente senza essere rimesse in esercizio). Le unità italiane vennero radiate entro il 1952. Tra i vari dettagli, la forma della cabina è quella che rivela in modo più marcato la scuola austriaca. |
Gr. 625 (1910-22, 188 unità). Con questa e le prossime tre macchine, ci occupiamo di una delle famiglie più diffuse e significative del parco a vapore FS. Dobbiamo tornare poco prima della nascita delle FS (1905) per incontrare la loro progenitrice, la 600, ideata da Giuseppe Zara (1856-1915), celebre progettista della Rete Adriatica. Si trattava di una macchina a vapore di taglia relativamente piccola, con rodiggio 1C, "carrello italiano" anteriore (ideato dallo stesso Zara), cilindri interni, ruote da 1510 mm di diametro, adatte per servizi misti, e velocità di 80 km/h. Secondo la tecnica del tempo, il motore era a vapore saturo, ma solo pochi anni più tardi, l'introduzione del surriscaldamento fece evolvere le 600 nel nuovo Gruppo 625, mantenendone per il resto le linee di base. Le 625 hanno vissuto tutto il '900 fino alla scomparsa del vapore regolare, a metà anni '70, e anche oltre, essendo tutt'oggi attive in alcuni esemplari, come mezzi storici. |
Gr. 625 Caprotti (1904-10, 153 unità ex 600, trasformate 1929-33). Sul finire degli anni '20, completata la costruzione delle nuove 625, si rinnovarono le precedenti 600, trasformandole anch'esse a vapore surriscaldato e dotandole della nuova distribuzione a valvole, sistema Caprotti. Quest'ultima cosa, che eliminava la tradizionale distribuzione Walschaerts, rendeva il biellismo visibile particolarmente semplice, quasi spoglio, dal momento che già mancava la normale biella motrice esterna, a causa dei cilindri interni sin dall''origine. Le 600 trasformate furono classificate anch'esse come 625, con il numero originale aumentato di 300. Un'eredità della locomotiva d'origine fu la cabina di guida, che presentava l'antico profilo inferiore curvilineo, inglobante i gradini di salita, in luogo del profilo orizzontale con scaletta unificata, diffusosi in seguito. |
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