Induno Olona. E tra la città e la ferrovia... la solita pesante rete metallica. Qui c'è ovviamente anche il tema del dislivello, ma davvero questa specie di muraglia carceraria era proprio l'unica soluzione? |
Bovisio Masciago. Le stazioni della rete Ferrovienord sono di norma piccoli fabbricati, non privi di eleganza nella loro semplicità. Spesso sorti quando erano a servizio di borgate tra i campi, si sono oggi ritrovati al centro di una "città infinita" fatta di palazzoni e di disordine urbanistico. Negli ultimi anni sono stati restaurati, con buon esito estetico, come ben si vede nel caso di Bovisio, sulla linea Milano-Seveso. Durante i lavori di rinnovo si sono alzati i marciapiedi, con notevole vantaggio per salire a bordo dei treni, si è aggiunto il sottopasso (indispensabile con il livello di traffico di queste linee), e si è scelto di realizzare le pensiline. Qui è nato un problema... |
Bovisio Masciago. Se guardiamo il fabbricato viaggiatori dal lato del binario, esso letteralmente scompare dietro una pensilina che si estende per buona parte della lunghezza del marciapiede, circa 110 m, e che è alta come un piano e mezzo della stazione. |
Bovisio Masciago. Non è solo un problema di scelta del modello della pensilina: se ne possono probabilmente trovare di un po' più leggere (e qualche tentativo in seguito è stato fatto) ma sono purtroppo giunto alla conclusione che si tratti di un problema senza soluzione: non esiste una pensilina che possa armonizzarsi esteticamente con fabbricati di questo tipo se la si vuole estesa per tutta la lunghezza del marciapiede: sarà sempre qualcosa di "enorme" rispetto al minuscolo edificio. Forse in alcuni casi, dove il binario presso il fabbricato è quello delle provenienze da Milano (come in questo caso), e quindi dove sono molti di più i viaggiatori che scendono dal treno rispetto a quelli che lo attendono, si sarebbe potuto scegliere di non mettere alcuna pensilina. Ma ormai il mondo è andato in una direzione diversa... |
Roma Tiburtina. La stazione di Roma Tiburtina è un esempio di come il realizzare un buon centro di interscambio abbia bisogno di alcune premesse "fisiche" senza le quali l'insuccesso è dietro l'angolo. Questa stazione si trova sull'itinerario principale Milano-Napoli, prima che i treni lascino la linea principale per entrare a Roma Termini. Collocata in una posizione piuttosto periferica, sebbene servita dalla Metro B, aveva tra gli svantaggi la mancanza di una piazza (e dunque una cattiva accessibilità pedonale): immediatamente fuori dalla stazione ci sono infatti gli svincoli della tangenziale! Va riconosciuto che la piazza "ribassata" che è stata realizzata, visibile in foto, è riuscita molto bene: ha creato quasi dal nulla un ambiente pedonale amichevole, che fa dimenticare il traffico autostradale appena più in là. |
Piano commerciale. Purtroppo però il numero di viaggiatori è rimasto inferiore alle aspettative, in primo luogo perché nessuno ha avuto il coraggio di far fermare solo a Tiburtina l'Alta Velocità Milano-Napoli: il risparmio di almeno 15 minuti non compensava la perdita dell'accessibilità garantita da Roma Termini, enormemente maggiore. Il risultato è stato che ancora vari anni dopo l'apertura della nuova stazione, una buona fetta di locali commerciali rimane desolatamente vuota, perché non si sosterrebbe con i viaggiatori esistenti. |
Sottopasso. Ma il rimedio, come spesso accade, è stato peggiore del male. L'area commerciale di Tiburtina è costruita "a ponte" sopra i binari: una scelta architettonicamente piacevole, se non fosse che, proprio per la cattiva accessibilità pedonale, la larga maggioranza dei viaggiatori arriva dalla Metro. Quindi chi entra a Tiburtina vi accede quasi sempre dal piano -1, quello della piazza ribassata, e si ritrova comodamente davanti il sottopasso di stazione. Ma così non sale certo al piano 1 a visitare la galleria commerciale, rendendola ancora meno utilizzata. Qual è stato il rimedio geniale? Mettere un "diodo" nel sottopasso, cioè dei tornelli, visibili in foto, che lo rendono utilizzabile solo in uscita dalla stazione. In entrata la gente è costretta a salire al primo piano, farsi tutta la galleria e ridiscendere ai binari. Se si pensa che il dislivello da 0 a 1 è nettamente superiore a quello da -1 a 0 si capisce la scomodità di questo giro vizioso, quando magari si hanno i minuti contati per andare a prendere il treno. |
San Remo. La stazione sotterranea di San Remo è stata inaugurata nel 2001, ma il progetto risaliva ai primi anni '80. Non potendo (o volendo) far percorrere alla ferrovia un'ansa che, pur in galleria, la avvicinasse alla città, non si è trovato nulla di meglio di collegare la galleria ferroviaria al fabbricato di stazione e dunque all'uscita con un corridoio di ben 400 m: così il percorso pedonale "si allunga" di buona parte del tempo risparmiato dalla linea veloce (rispetto alla vecchia litoranea). Anche perché, come si vede in foto, i pur lentissimi tappeti mobili passano il loro tempo guasti. Se poi il corridoio pedonale ha almeno una finitura estetica decente, il lungo camerone ferroviario si presenta con un look alquanto desolante, vero regno dello squallore. |
Palazzolo Mil. La "permeabilità" tra una stazione e la città è sempre un vantaggio per il viaggiatore. Non è di norma possibile realizzarla per tutti i binari, ma se anche soltanto il primo o l'ultimo sono direttamente aperti sulla strada, questo si traduce quasi sempre in un minor percorso a piedi. Di conseguenza ogni volta che una rete invalicabile viene ostinatamente a circondare un'intera stazione, si è probabilmente davanti a un'occasione perduta. |
Saronno. Quando tutto sembra accanirsi contro il treno (e il buon senso), non ci si può certo far mancare un uso distorto del concetto di patrimonio storico della ferrovia. Nel 2012, con la riapertura della linea Saronno-Seregno, la popolazione locale ottenne l'abbandono del vecchio tratto urbano in uscita da Saronno, sostituito da una ben più costosa variante esterna parzialmente sotterranea. La linea abbandonata aveva due passaggi a livello (che erano l'ovvio pomo della discordia) e due modesti sottopassi veicolari, in via Reina e via don Monza. Ormai definitivamente abbandonata questa tratta, sarebbe stato logico demolire i ponti dei due sottopassi, che imponevano il senso unico alternato, in modo da allargare la strada. Ebbene, quando si seppe dell'imminente demolizione, i cittadini insorsero, coinvolsero la Soprintendenza e questa si pronunciò ipotizzando un "valore storico" dei due ponti, congelandone la demolizione. |
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