Poche regole per belle foto (ferroviarie e non)

National Geographic e la ferrovia: era proprio il caso?

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Prendete una prestigiosa rivista internazionale di natura e cultura, la sua edizione italiana, un numero al principio del 2010. Immaginate un articolo dedicato alle ferrovie. Non le ferrovie in generale, non il fatto che magari "fare cultura" vorrebbe dire anche rivendicare una ferrovia più utile e più efficiente. Prendete un tema di cui potreste non aver mai sentito parlare, del tipo: ma quanto sono belle le-ferrovie-sì-quelle-secondarie-che-amano-la-natura. A dirlo così magari vi sembra qualcosa di già letto, una specie di romanzo rosa, forse un po' simile alle varie giornate delle ferrovie dimenticate, tante belle piste ciclabili dove-una-volta-c'erano-i-binari-vittime-del-progresso. Be', questo è niente. Reggetevi forte e guardate la fotografia di apertura dell'articolo. Doppia pagina. Stampa fino al bordo. Eccola.

 

Uno scatto in deposito sulle Ferrovie del Sud Est. Qualcosa di incomparabilmente osceno. L'esaltazione totale del degrado. Meteo da dimenticare, graffiti, disordine, desolazione infinita. Un fotogramma da apocalisse. Un'immagine così aprirebbe un articolo di denuncia sugli sperperi, gli scempi o il vandalismo. Utilizzarla per un pezzo su "un viaggio più umano e meno inquinante alla scoperta della nostra penisola" è - sia chiaro: a mio personalissimo parere - una cantonata colossale. E anche un insulto alla ferrovia.

 

Alla scoperta della nostra penisola?

Proseguiamo: nell'articolo si parla della Ferrovia Genova Casella: "lo storico trenino che dal 1929 parte da Genova e si inerpica per 25 chilometri di curve e colline fino a Casella". Questa è la foto a piena pagina che lo illustra. Che cosa si vede? Mah... io ci vedo un controluce sparato, la distorsione del grandangolo, un invasivo palo LS, pure mosso. E le colline? E il paesaggio?

Devo dire che fotografare bene la Genova-Casella non è proprio facilissimo (anche per via di quella linea aerea moderna ed estremamente "pesante", realizzata nel 1992). Però... però... proviamo a prendere uno scatto quasi a caso (altri). Non lo considero ottimale, non mi piace ad esempio la luce troppo radente, ma almeno lo "storico trenino" si vede tutto, si vede la collina e un forte genovese, e i pali sono adeguatamente mimetizzati dallo sfondo scuro. Non è un po' meglio?

Completo la panoramica con altre due foto, entrambe a doppia pagina. Una scena sgradevolmente claustrofobica in deposito, ancora sulle FSE, e un notturno sulla Merano - Malles: un "esempio eclatante da seguire", si legge nel testo, che dopo appena due anni ha già superato i due milioni di passeggeri. E che foto si sceglie? Una in cui non si vede un viaggiatore neanche per sbaglio, e tanto meno un treno. Anche qui una desolazione senza pari. E pensare che non è proprio difficile costruire un racconto un po' più vivace da quelle parti...

 

Ormai avrete immaginato che le altre quattro o cinque foto dell'articolo si possono anche omettere, il risultato non cambia. Per inciso, capisco anche che gli autori si siano trovati in difficoltà a cercare materiale fotografico sulla materia - Santo cielo, fotografare un treno?! E come si farà? - ma sarebbe bastato consultare Internet: ad esempio su Photorail (link anche da varie pagine della Wikipedia, tra cui quella della Genova-Casella) ci sono migliaia di foto da cui prendere spunto.

Peraltro anche il testo lascia qualche dubbio. Leggiamo dalla prima pagina:

[...] Ma è sulle ferrovie periferiche come questa che emerge un paese dai ritmi più blandi, fatto di tradizioni e storie di vita, che lega ancora piccole città, paesi e frazioni, spesso rispettando la natura circostante, con minore inquinamento e un impatto ridotto sul paesaggio. Le montagne e le colline si aggirano, quasi mai si forano per passarci in mezzo, così come barriere antirumore, pannelli fonoassorbenti e grandi opere in cemento tipiche dei percorsi ad alta velocità restano rare.
Nulla a che vedere con i proiettili dell'era moderna, che volano lungo le principali arterie della penisola a quasi 300 chilometri orari, bucando lo spazio per favorire i tempi di percorrenza. Sui treni che collegano le grandi metropoli il paesaggio sparisce dal finestrino, lasciando spazio solo a una carrellata di pensiline, gallerie ed edifici grigiastri che corrono come una pellicola impazzita lungo lo schermo in plexiglas dei finestrini sigillati. [...]

Forse chi volesse davvero fare cultura sulla ferrovia avrebbe titolo di domandarsi quanto le "barriere antirumore, pannelli fonoassorbenti e grandi opere in cemento" debbano essere tipiche dei percorsi ad alta velocità. Quanto i finestrini sigillati siano ineluttabili, e non possa esistere un mondo diverso dagli schermi in plexiglas anche quando si collegano le metropoli. Perché un'infrastruttura moderna debba avere per forza un impatto sul paesaggio, anche quando è una ferrovia. Farsi queste domande significa cercare di capire meglio dove siamo e che futuro stiamo costruendo. Che è altrettanto importante dell'esplorare il passato delle ferrovie in disuso.

 

Tutto questo è solo una mia opinione? Sul numero successivo della rivista compare una lettera, che si conclude così: "[...] Mi ha lasciato perplessa la scelta di alcune delle immagini che illustrano il servizio, in particolare quella d'apertura: mi pare che si sia immortalato il degrado, pur presente in certi casi, ma che non si siano colti pienamente la bellezza e il valore culturale e paesaggistico delle secondarie e dei territori che attraversano e la capacità del treno di fondersi armoniosamente con l'ambiente circostante". Parole sicuramente più equilibrate e diplomatiche delle mie, ma il concetto mi sembra molto simile, e mi rincuora.


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