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Quadri di Francesco Dall'Armi

Omnibus piemontese.  A seguito dell'Unità d'Italia, il nuovo governo si pose l'obiettivo di unificare e razionalizzare il trasporto ferroviario, gestito precedentemente da una miriade di Società, sia pubbliche, sia private. Nell'ambito di questo progetto nacque nel 1865 la società SFAI (Strade Ferrate dell'Alta Italia), la quale ereditò circa 1400 km di linee nel Nord e una gran quantità di materiale rotabile estremamente eterogeneo.

Fu Cavour ad aver incoraggiato lo sviluppo di un'industria ferroviaria italiana, assegnando all'Ansaldo il ruolo di costruttore di locomotive. La fabbrica genovese iniziò la sua avventura in campo ferroviario producendo nel 1854 la "Sampierdarena", una macchina di rodiggio B1 a cilindri interni che, pur risentendo di influssi britannici, era stata progettata interamente in Italia. A questo prototipo seguirono altre 30 macchine uguali, suddivise tra le Ferrovie dello Stato Piemontese e la Ferrovia Alessandria-Stradella, che nel '65 passarono tutte alla SFAI. Per inciso, 10 locomotive simili vennero fornite dall'Ansaldo anche alle società Vittorio Emanuele per le Strade Ferrate Calabro-Sicule. A partire dal 1876, sulle sue macchine la SFAI iniziò a introdurre una serie di modifiche, fra le quali l'installazione della cabina chiusa (in precedenza i macchinisti erano protetti dalle intemperie solo da un rudimentale paravento).

Questo dipinto, ambientato attorno al 1880, ritrae una di queste macchine già trasformate, la 211 "Novara" (Ansaldo, 1855; foto), impegnata con un omnibus piemontese dalla composizione piuttosto eterogenea: in particolare spicca la vettura a due piani, appartenente a un lotto di 11 costruite a Parigi dalla ditta Chevalier & Cheilius negli anni 1869-72, simili a quelle già in servizio nella capitale francese. È curioso osservare che sarebbe trascorso un secolo prima che altre vetture a due piani venissero messe in servizio sui binari italiani, e anche in questo caso si tratterà di un modello copiato dalla banlieue parigina.

Nel 1885, anno del suo scioglimento, la SFAI disponeva di un parco di ben 976 locomotive, molte però obsolete o inutilizzabili. Le B1 Ansaldo passarono alla Rete Mediterranea, numerate 2733-2773, e le 25 ancora esistenti nel 1905 (16 ex SFAI e 9 ex Vittorio Emanuele) vennero immatricolate nelle Ferrovie dello Stato nel gruppo 113. La nostra 211 però non fu tra queste, essendo stata ritirata dal servizio prima del 1902.

Quadri di Francesco Dall'Armi - Omnibus piemontese.

 

Inverno nella campagna vercellese.  Un altro dipinto ambientato nel Piemonte di fine '800, questa volta sul doppio binario della Torino-Milano, ritrae una locomotiva "a ruote libere", come venivano chiamate all'epoca le macchine dotate di un solo asse motore. Questa è la RM 523 "Galatea", fabbricata dalla Sharp di Manchester nel 1864. Per la ditta inglese queste piccole locomotive con rodiggio 1A1, cilindri interni e telaio esterno, furono un grande successo commerciale: ne produsse centinaia, molte esportate in diversi paesi europei.

In generale, le motrici con questa disposizione degli assi erano adatte a convogli viaggiatori su linee pianeggianti: le grandi ruote motrici permettevano infatti buone velocità, ma era limitato lo sforzo di trazione all'avviamento. La Rete Mediterranea ne ereditò 20 dalla SFAI e le assegnò a Novara, Pavia e Alessandria. Pur essendo state oggetto di successivi interventi migliorativi - installazione della cabina chiusa (come in questo ritratto) e del freno Westinghouse, sostituzione della caldaia - a fine '800 erano locomotive già tecnicamente superate e soprattutto inadatte all'aumentato peso dei convogli. Nonostante ciò, cinque di esse arrivarono ad essere immatricolate nel parco FS come Gruppo 103.

Il segnale Saxby ad ala traforata è il diretto progenitore di quelli entrati in funzione negli anni '20 e che sono giunti sino a noi. Nel caso del dipinto si tratta di un segnale di protezione ad ali accoppiate: l'ala rossa abbassata dà il via libera, ma la sottostante ala gialla avvisa che il segnale successivo impone l'arresto. Le ali erano abbinate a una maschera a vetri colorati: una lampada a petrolio, accesa ogni sera, faceva sì che nelle ore di buio la segnalazione fosse comunque visibile. La sicurezza nella circolazione dei treni alla fine del XIX secolo era ormai uscita dalla fase primordiale ed era garantinta da sistemi di controllo già abbastanza evoluti.

Quadri di Francesco Dall'Armi - Inverno nella campagna vercellese.

 

"Silvia" RM 1731.  La prima locomotiva del gruppo 1700 della Rete Mediterranea entrò in servizio nel 1889, e ad essa seguì la costruzione di altre 30 unità. Progettate direttamente dagli ingegneri RM nell'Ufficio d'Arte di Torino, erano macchine destinate ai treni più veloci, grazie alle grandi ruote motrici di 2,10 m di diametro che consentivano di viaggiare a 100 km/h (anche se probabilmente nessuna linea ferroviaria italiana del tempo permetteva tale velocità). Come tutte le locomotive della Rete Mediterranea, erano colorate in verde e portavano un nome proprio: le 1700, in particolare, avevano nomi di famose donne dell'antichità. La 1731 "Silvia" (Ansaldo, 1900), ultima unità del gruppo, è ritratta in deposito, con il tender carico e pronta per correre.

Dal 1905, sotto le FS, le 1700 RM acquisirono la tradizionale livrea nera e furono classificate nel gruppo 560. Rimasero in attività fino alla metà degli anni '20: purtroppo nessuna di queste eleganti macchine è giunta fino a noi.

Quadri di Francesco Dall'Armi -

Riportiamo anche i 31 nomi femminili di tutto il Gruppo (fonte: Riccardi, Sartori, Grillo, "Locomotive a vapore in Italia"):

  • RM 1701 - Giovanna D'Arco
  • RM 1702 - Maria Stuarda
  • RM 1703 - Elisabetta
  • RM 1704 - Caterina di Russia
  • RM 1705 - Cristina di Svezia
  • RM 1706 - Cornelia
  • RM 1707 - Porzia
  • RM 1708 - Calpurnia
  • RM 1709 - Veturia
  • RM 1710 - Antonia
  • RM 1711 - Pompeia
  • RM 1712 - Pia Tolomei
  • RM 1713 - E. d'Este
  • RM 1714 - Anna Bolena
  • RM 1715 - Maria Teresa
  • RM 1716 - Maria Antonietta
  • RM 1717 - Charlotte Corday
  • RM 1718 - Luisa Miller
  • RM 1719 - Beatrice Portinari
  • RM 1720 - L. di Nores
  • RM 1721 - Giuditta
  • RM 1722 - D. Saluzzo
  • RM 1723 - Berenice
  • RM 1724 - Clelia
  • RM 1725 - Santippe
  • RM 1726 - Marozia
  • RM 1727 - Ottavia
  • RM 1728 - Domizia
  • RM 1729 - Flavia
  • RM 1730 - Livia
  • RM 1731 - Silvia

 

Nuovo! Veduta della ferrovia a Saronno.  Inaugurata nel 1887, la ferrovia Novara-Saronno-Seregno (FNS) passò in gestione alle Ferrovie Nord Milano nel volgere di pochi anni. Questo dipinto, ambientato nel 1896, prima del raddoppio della Milano-Saronno, il cui singolo binario si intravede sulla destra, ritrae una delle locomotive originali della FNS, la 04, di costruzione tedesca (Kessler, 1887), qui già con la matricola FNM 54. Dopo un ulteriore cambio di numerazione nel 1942 (250-04), questa unità verrà poi ritirata dal servizio nel 1954, ma un'altra 250, simile a quella raffigurata, è comunque scampata alla demolizione ed è tuttora esposta al Museo della Scienza e Tecnologia di Milano.

Qui la locomotiva, al traino di un treno passeggeri diretto a Seregno, sta affrontando la rampa del sovrappasso della linea per Milano, sulla quale è presente un segnale a disco a protezione della stazione di Saronno, situata qualche centinaio di metri più avanti. Il segnale è sulla destra del senso di marcia come era consuetudine all'epoca sulle linee a singolo binario.

Nello scalo a sinistra, è raffigurata la piccola FNM 106, facente parte di un gruppo di 6 unità di costruzione francese (Couillet,1878). A causa della loro esigua potenza, queste locomotive vennero ben presto relegate a servizi di manovra e negli anni '10 cedute a industrie private.

Sullo sfondo, davanti al profilo inconfondibile del Monte Rosa, sono visibili i capannoni delle Officine Meccaniche, dal 1887 sede italiana dall'azienda tedesca Maschinenfabrik Esslingen, destinate inizialmente alla costruzione di locomotive a vapore. Nel 1894 divennero la prima azienda italiana a produrre autovetture, le Peugeot Type 3.

Quadri di Francesco Dall'Armi - Veduta della ferrovia a Saronno.

 

Notturno portuale.  L'arrivo della ferrovia a Genova, nel 1854, determinò un notevole incremento del volume di merci movimentate nel porto, e l'apertura della seconda linea sul valico dei Giovi (la "Succursale" inaugurata nel 1889) coincise con un ulteriore ampliamento delle infrastrutture portuali. Poiché potenze sempre maggiori erano necessarie per i treni merci sui valichi, alla fine dell'800 la Rete Mediterranea progettò una grossa locomotiva di rodiggio 2'D, che avrebbe dovuto essere in grado di rimorchiare, in singola trazione, treni di 500 tonnellate sulla rampa al 16 per mille da Sampierdarena a Ronco Scrivia, a velocità non inferiore a 20 km/h. Vennero ordinate 40 macchine, entrate in servizio a partire dal 1902; le ultima 10, consegnate nel 1906, furono immatricolate direttamente dalle FS nel gruppo 750.

Erano molto potenti per l'epoca (900 CV), munite di due cilindri a doppia espansione e di forno Wotten di brevetto americano, quest'ultimo caratterizzato da una doppia boccaporta e da una superficie di griglia di ben 4 mq. Con queste caratteristiche, si dimostrarono nettamente superiori, in termini di prestazioni, a tutte le locomotive precedenti. Frequentemente impiegate in doppia trazione, erano assegnate ai depositi genovesi e vi rimasero per una decina di anni, sino all'elettrificazione in trifase. Successivamente vennero modificate per migliorarne ulteriormente le prestazioni. Tuttavia l'arrivo di macchine ancora più moderne - a semplice espansione e vapore surriscaldato - e soprattutto, per l'area genovese, il procedere delle elettrificazioni sulle linee di valico le resero superate, e ne determinarono l'accantonamento all'inizio degli anni '30.

Il dipinto ritrae la RM 4521 "Friuli" (Breda, 1902) ed è pertanto ambientato prima del 1905: l'elegante livrea verde della locomotiva durerà infatti solo per tre anni. Il treno è in partenza da uno scalo portuale genovese, nell'area di Santa Limbania, e tra il fumo svetta la Lanterna, simbolo trecentesco della città e faro più alto del Mediterraneo.

Quadri di Francesco Dall'Armi - Notturno portuale.

 

Lloyd Express.  Subito dopo il rallentamento imposto dalla stretta curva in ingresso a Monza, il macchinista della 6864 (Breda, 1908) riparte a tutto vapore per lanciarsi in piena velocità verso Milano alla testa del Lloyd Express proveniente da Hamburg Altona e diretto a Genova, un collegamento di 1500 km in quasi 28 ore (orario). Come molti treni internazionali di lusso della bella epoque, era effettuato con vetture CIWL a cassa in legno: si trattava di due carrozze letti, di una ristorante e, generalmente, due furgoni per la posta e i bagagli posti alle estremità. Nella tratta d'oltralpe, questo treno riusciva a tenere una velocità di tutto rispetto: ad esempio i 65 km Strasburgo - Colmar erano percorsi in soli 40 minuti, anche grazie all'uso di prestanti locomotive 2'C della EL (Ferrovia dell'Alsazia e Lorena), con velocità commerciale superiore ai 90 km/h; al confronto le 3 ore e 10 da Milano a Genova non erano particolarmente significative.

La scena è ambientata attorno al 1910, quando le nuove 680 si stavano diffondendo sulla rete FS dimostrandosi locomotive potenti e affidabili. Queste macchine per treni espressi, con disposizione degli assi 1C1, erano derivate concettualmente dalle 670, di cui abbandonavano l'insolita disposizione a cabina avanti, pur mantenendo il motore Plancher a 4 cilindri, vapore saturo e doppia espansione. Dall'esperienza fatta sulle prime 680, già nel 1912 nacque la loro versione migliorata, la 685, che abbandonava la doppia espansione e adottava il surriscaldatore del vapore. Negli anni a seguire, gradualmente, quasi tutte le 680 furono trasformate in 685. In particolare l'unità raffigurata venne trasformata nel 1928, assumendo la nuova numerazione 685.464. Nell'anno successivo venne rinumerata 685.364 e con tale numero di matricola arrivò sino al termine della sua lunga carriera, nel 1966.

Sullo sfondo del dipinto, alcune tracce delle industrie che, all'inizio del XX secolo, facevano di Monza un polo importante del settore manifatturiero italiano: a sinistra la sede storica delle telerie Frette (che era anche fornitrice di tessuti d'arredo per la stessa CIWL!) e, a destra, le ciminiere del Cappellificio Cambiaghi, altra grande azienda che all'epoca contava mille dipendenti e una produzione annua di 3 milioni di cappelli esportati in tutto il mondo.

Infine, degno di nota è il magazzino/torre a pianta ottagonale, tutt'oggi esistente e ultimo reperto della prima stazione monzese, inaugurata nel 1840.

Quadri di Francesco Dall'Armi - Lloyd Express.

 

Doppia trazione sul Frejus  Questo dipinto, ambientato idealmente sulla linea Torino-Modane prima del 1910, ritrae una delle locomotive 470 costruite dalla Maffei di Monaco di Baviera nel 1907. In tutto vennero prodotte 143 unità di questo gruppo: erano progettate per il traino di treni merci su linee acclivi, anche se buona parte di esse entrarono in servizio quando ormai i principali valichi erano stati elettrificati. Dotate di 5 assi motori con ruote di piccolo diametro (lo stesso schema che verrà ripreso dalle locomotive trifasi da montagna), avevano una velocità massima limitata a soli 50 km/h ma una notevole forza di trazione.

Negli anni attorno al 1920, la maggior parte delle 470 furono trasformate a vapore surriscaldato, cambiando numerazione in 471 e in molti casi subendo sostanziali modifiche all'aspetto estetico. Solo poche 470 rimasero allo stato d'origine sino alla loro radiazione, avvenuta negli anni '50: fra queste la 092, che si è fortunatamente salvata dalla demolizione e può essere ammirata al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano.

Rimorchiare un pesante treno merci su una lunga salita, con le rotaie bagnate di pioggia, non è comunque un compito semplice nemmeno per una "montanara" come la 470: l'esperienza di macchinista e fuochista è fondamentale per evitare che la locomotiva perda aderenza e per far sì che la produzione di vapore si mantenga ad alti livelli. E una macchina di spinta in coda è sempre provvidenziale.

Quadri di Francesco Dall'Armi - Doppia trazione sul Frejus

 

L'alba del trifase.  Nel 1902 venne inaugurata l'elettrificazione in corrente alternata trifase (3600 V) delle linee Lecco-Sondrio e Colico-Chiavenna. Furono le prime ferrovie ad alta tensione al mondo. Il progetto dell'intera infrastruttura era frutto della mente geniale dell'ingegnere ungherese Kálmán Kandó, il quale progettò anche i mezzi di trazione (10 elettromotrici per servizio viaggiatori e 2 locomotive per treni merci), la cui costruzione venne affidata alla Ganz di Budapest. A buon diritto, quindi, le due piccole motrici della serie RA 34 devono essere considerate in assoluto le prime locomotive elettriche ad alta tensione. Si trattava di mezzi snodati a 4 motori e 4 assi, che potevano viaggiare ad una sola velocità prestabilita, 33 km/h (alla frequenza originale di 15 Hz), adatta ai servizi che erano chiamate a svolgere: la trasmissione del moto avveniva attraverso un complesso sistema di bielle articolate interne, è questo un caso unico di locomotiva trifase priva di bielle esterne.

Questo dipinto rappresenta una scena ambientata dalle parti di Dervio, sul Lago di Como, prima del 1905, anno in cui la RA (Rete Adriatica) confluì nelle neonate Ferrovie dello Stato, con conseguente cambio di numerazione dei rotabili. La presenza in cabina di altre persone oltre ai macchinisti (ispettori, ingegneri, tecnici, o forse lo stesso Kandó) fa pensare a una corsa prova, magari precedente l'inaugurazione. Fortunatamente, data la notevole importanza storica, una di queste macchine è giunta fino a noi, e conservata al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, con la numerazione definitiva FS E.430.001.

Quadri di Francesco Dall'Armi - L'alba del trifase.

 

Veduta di Villa Cipressi a Varenna.  Qualche kilometro più a sud rispetto al quadro precedente è ritratta una delle cinque elettromotrici trifase della serie 32 della Rete Adriatica (321-325 RA, poi E.21-E.25 FS), dotate di prima e terza classe. Altre cinque, appartenenti al gruppo 30, disponevano invece di un salone di sola prima classe (301-305 RA, poi E.1-E.5 FS).

Erano state tutte costruite nel 1901 dalla Ganz di Budapest. Alla frequenza originale di 15 Hz potevano viaggiare a 32 e a 64 km/h: erano dotate di quattro motori, uno per ogni asse, ma curiosamente alla velocità più alta ne rimanevano attivi soltanto due (gli schemi elettrici per sfruttare appieno i motori con tutte le velocità di sincronismo si sarebbero sviluppati nel corso del decennio successivo). Potevano normalmente rimorchiare fino a 180 tonnellate, e in ogni caso la composizione massima ammessa era di 7 vetture a due assi.

Con l'inaugurazione ufficiale, dal 15 ottobre 1902 tutti i treni viaggiatori sulle linee Lecco-Sondrio/Chiavenna furono effettuati con queste elettromotrici. C'era anche un diretto Milano-Sondrio che impiegava 3h 13m e che da Milano a Lecco era trainato da una locomotiva a vapore (elettromotrice compresa). Le cronache dicono che i primi viaggiatori erano intimoriti dall'avere 3000 volt sul capo, ma ben presto il viaggio sulle elettromotrici, soprattutto quelle lussuosissime di prima classe, divenne una moda.

Tra il 1925 e il 1927, a seguito dell'immissione in servizio di nuove locomotive trifase, le elettromotrici vennero demotorizzate e trasformate in carrozze.

Quadri di Francesco Dall'Armi - Veduta di Villa Cipressi a Varenna.

 

Il deposito dei locomotori trifasi.  L'elettrificazione pionieristica in corrente alternata trifase della linea della Valtellina venne estesa nel 1914 alla tratta Lecco-Monza. Non è chiaro il motivo per cui i lavori non procedettero sino a Milano: mancavano infatti solo 12 km (su 130) per attivare la trazione elettrica sull'intero itinerario Milano-Sondrio. Tuttavia, in conseguenza di ciò, a partire dal 1914 tutti i treni della linea Milano-Lecco effettuavano il cambio della locomotiva a Monza, dapprima tra trifase e vapore, successivamente tra trifase e corrente continua. Infatti, per la trazione elettrica della Milano-Monza-Como-Chiasso, attivata nel 1939, si optò per la corrente continua, essendo il trifase ormai tecnicamente superato: il cambio di trazione per i treni della direttrice di Lecco si protrasse quindi fino al 1951, quando anche la Monza-Lecco venne convertita in corrente continua, facendo scomparire definitivamente il trifase dalla scena ferroviaria monzese.

E' comunque curioso notare come siano pochissime le immagini note che documentino i 37 anni - dal 1914 al 1951 - in cui i locomotori trifasi erano di casa a Monza; questo dipinto fa dunque rivivere quel periodo, ritraendo la rimessa a due binari dove le macchine del deposito di Lecco venivano ricoverate: le E.330 per i treni viaggiatori e le E.550 per i merci. L'edificio è tuttora esistente, a fianco della linea per Molteno, ma in stato di abbandono.

La scena può essere ambientata attorno alla metà degli anni '30, quando la colorazione nera ereditata dal vapore cedette il posto al castano e Isabella: a fianco di macchine già riverniciate nella nuova livrea, la E.330.9, a trolley alzati e pronta per prendere servizio, sfoggia ancora, con orgoglio, il suo elegante abito scuro.

Infine ci pare interessante segnalare un corposo articolo apparso sul Cittadino nel febbraio 1914, alla vigilia dell'attivazione della trazione elettrica, che offre un quadro storico assai interessante, partendo dal confronto con il precedente sistema ad accumulatori (sperimentato proprio sulla Milano-Monza nel 1899) ed esaminando gli aspetti tecnici, allora avveniristici, della corrente trifase a 3500 V. L'articolo si conclude immaginando una rapida prosecuzione verso Milano e addirittura l'elettrificazione della Milano-Bergamo. Ma poi la storia andò diversamente.

Quadri di Francesco Dall'Armi - Il deposito dei locomotori trifasi.

 

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